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mercoledì 2 ottobre 2013
Ludovico Ariosto e Torquato Tasso
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giovedì 1 novembre 2012
geografia in prima media
COSA
STUDIEREMO QUEST’ANNO?
L’EUROPA
Il nome Europa deriva:
-
da un termine
assiro–fenicio EREB (tramonto) in contrapposizione ad ACU (alba) nome
attribuito all’Asia;
-
dai Greci che con il
termine Europa indicavano una grande terra, dalle caratteristiche vaghe ma
sicuramente diverse da quelle dell’Asia e dell’Africa;
Il Mito
di Europa
Questo mito è particolarmente significativo perché
Europa, originaria della Fenicia, viene portata dal dio a Creta, luogo
d'origine della civiltà europea.
La fanciulla rapita dal
toro.
Zeus non era particolarmente soddisfatto della
moglie Era e andava spesso in cerca di avventure extra-coniugali. Non poteva
mostrarsi nelle proprie fattezze, perché così Era avrebbe facilmente scoperto i
suoi tradimenti e, dunque, per ottenere l'amore delle fanciulle di cui si
invaghiva, Zeus ricorreva anche agli stratagemmi più bizzarri. Una volta, Zeus
si innamorò di Europa, unica figlia femmina di Agenore, della terra di Canaan,
e incaricò Ermes di spingere il bestiame di questi fino alla riva del mare
presso Tiro, dove Europa e le sue compagne usavano passeggiare. Zeus stesso si
confuse nella mandria, sotto le spoglie di un toro bianco come la neve, con un
petto robusto e due piccole corna, simili a gemme, tra le quali correva
un'unica striscia nera. Europa fu colpita dalla sua bellezza e, poiché il toro
si rivelò mansueto come un agnello, cominciò a giocare con lui ponendogli dei
fiori in bocca e appendendo ghirlande alle sue corna; infine gli balzò sulla
groppa e si lasciò condurre al piccolo trotto fino alla riva del mare.
All'improvviso il toro si lanciò nelle onde e cominciò a nuotare, ed Europa
sgomenta, volgendo il capo, fissava la riva sempre più lontana: con la mano
destra stringeva il corno del toro, con la sinistra un canestro colmo di fiori.
Giunto su una spiaggia di Creta, Zeus amoreggiò con Europa in un boschetto di
salici presso a una fonte. Agenore mandò i suoi figli in cerca della sorella. Fenice
dopo varie peregrinazioni, divenne il capostipite dei fenici. Cilice, a
sua volta, si instaurò in un'area sulla costa sudorientale dell'Asia Minore a
nord di Cipro e divenne il capostipite dei cilici. Cadmo, il fratello
più famoso, è arrivato in Grecia dove si instaurò e fondò la città di Tebe.
Europa divenne la prima regina di Creta. Ebbe da Zeus tre
figli: Minosse, Radamanto. e Sarpedonte. che vennero in
seguito adottati da suo marito Asterione re di Creta. Dopo la morte di
Asterione, Minosse diventa re di Creta. In onore di Minosse e di sua madre, i Greci
diedero il nome "Europa" al continente che si trova a nord di Creta.
Nel planisfero muto tracciate a matita i confini
dell’Europa, i punti cardinali e i mari più importanti che conoscete
Adesso individuate
gli altri continenti e date loro il nome.
Per gli altri
continenti è stato più facile?
Perché?
Cos'ha l'Europa di
diverso?
Rivediamo la
definizione di continente.
L’Europa non è un continente dal punto
di vista fisico, perché ha dei confini convenzionali proposti nel 1958 da
alcuni geografi sovietici: dal Mar Baltico, attraverso gli Urali, l’Ural, il
Mar Caspio (il Caucaso resta all’Asia), tra il Mar Nero e il Mar d’Azov fino ai
Dardanelli.
domenica 7 ottobre 2012
Teseo e il Minotauro
Il mito del Minotauro
inizia a Tiro, città di cui era re Agenor, figlio di Poseidone e della mortale
Libia.
Poseidone si sposò Libia e da questa unione nacque Europa, una fanciulla particolarmente bella e pura di cui Zeus s'innamorò perdutamente. Zeus trasformatosi in un toro rapì Europa e la condusse a Creta e lì la possedette. Da questa unione nacquero tre figli. Uno di questi era Minosse, famoso per la sua severità e giustizia, che regnò su Creta e fu signore del mare.
Poseidone si sposò Libia e da questa unione nacque Europa, una fanciulla particolarmente bella e pura di cui Zeus s'innamorò perdutamente. Zeus trasformatosi in un toro rapì Europa e la condusse a Creta e lì la possedette. Da questa unione nacquero tre figli. Uno di questi era Minosse, famoso per la sua severità e giustizia, che regnò su Creta e fu signore del mare.
Minosse chiese a
Poseidone, dio del mare, di mandargli un toro. Ricevere questo toro dal dio era
la prova che l'Olimpo approvava il suo regno. In effetti, Poseidone mandò il
toro, un toro di un bianco stupefacente, destinato ad essere sacrificato. Ma
Minosse affascinato dalla sua bellezza non lo sacrificò; la sua forza era tale
che il re di Creta, pieno di ammirazione, decise di utilizzarlo come toro da
monta per i suoi greggi. Quando Poseidone lo venne a sapere, al fine di punire
Minosse, non solo trasformò il bel toro in un animale pericoloso ma fece anche
in modo che Pasifae, moglie di Minosse, s'innamorasse del toro e si
unisse a lui. Fu da questa unione che nacque il Minotauro, un mostro con
il corpo di uomo e la testa di toro. Un mostro pericoloso e al tempo stesso di alta
stirpe, un pericolo da scongiurare che minacciava la pace ed il benessere del
regno. Così Minosse lo rinchiuse in un palazzo la cui costruzione affidò ad un
architetto ateniese di nome Dedalo il quale, iniziato da Atena a tutte
le invenzioni dell'arte e dell'industria, costruì un palazzo a forma di
labirinto - il labirinto di Cnosso che doveva essere un inestricabile
susseguirsi di camere, corridoi, sale, finti ingressi e finte porte - un luogo dove perdersi e da cui fosse
impossibile uscire. Più tardi, anche l'ateniese Dedalo vi fu rinchiuso col
figlio Icaro, e poté fuggire soltanto costruendosi delle ali fatte di penne e
cera inventando così l'arte del volo. Racconta la leggenda che Icaro volò tropo
vicino al sole, le ali si sciolsero ed egli cadde in quel mare, che
presumibilmente da lui fu chiamato Icario. Soltanto Dedalo si salvò.
Il figlio di
Minosse, Androgeo, giunse ad Atene per misurarsi con i giovani ateniesi
nei giochi tauromachici (la tauromachìa
è uno spettacolo diffuso, specie in tempi antichi, nel mondo mediterraneo, consiste
in un combattimento di bovini tra loro, di
uomini contro bovini o di bovini contro altri animali), ma rimase ucciso dal
toro di Maratona. Suo padre, pazzo di dolore, si strappò la corona dalla fronte
accusando gli ateniesi di quell'omicidio, la morte di Androgeo doveva portare
loro sfortuna e da lì in poi dovettero pagare un orribile tributo: ogni nove
anni Minosse esigeva che mandassero a Creta quattordici sudditi ateniesi,
sette fanciulli e sette fanciulle vergini in pubertà, che sparivano nel
labirinto sacrificate al Minotauro. Quando Teseo vinse il toro di
Maratona, erano già passati diciotto anni e Minosse stava per scegliere, per la
terza volta, la schiera del sacrificio. Secondo la narrazione più antica, Teseo
sarebbe andato a Creta con la sua nave o con quella di suo padre per evitare
un'altro inutile sacrificio, ossia per uccidere il Minotauro. Era partito con
le vele nere ma suo padre gliene aveva data anche una bianca che avrebbe dovuto
essere issata se Teseo fosse ritornato vittorioso. In tutte le narrazioni,
Teseo fu ricevuto a Cnosso da una figura di donna gentile, forse una dea come
Anfitrite. Ma quando questi volle entrare spontaneamente nel labirinto, Arianna
(figlia di Minosse e Pasifae), signora del labirinto, ebbe pietà di lui e, per
amore del giovane ateniese, tradì il proprio fratello, il Minotauro. L'astuta
ragazza suggerì a Teseo di fissare il capo del filo all'architrave dell'entrata
del labirinto e di tenersi il gomitolo in mano senza perderlo mai, poiché gli
sarebbe servito a trovare la via di uscita. Il Minotauro dormiva nella parte
più interna del labirinto. Teseo doveva afferrarlo per le sopracciglia e
sacrificarlo a Poseidone. Con una mano si afferrarono a vicenda, e infine Teseo
trafisse mortalmente il Minotauro. Egli appare vittorioso alla porta
dell'edificio sotterraneo senza portare con se il Minotauro ucciso, dove viene
accolto festosamente dai fanciulli ateniesi scampati al sacrificio. Teseo salì
sulla nave con Arianna e durante la notte presero la via del ritorno, portando con
sé anche i giovani ateniesi. Teseo aveva promesso di corrispondere all'amore di
Arianna sposandola una volta vinto il Minotauro. Consumarono il loro amore
nella nave, ma prima dell'alba Teseo volle scendere a terra, e sbarcarono
nell'isola di Dia, l'attuale Nasso. Dioniso apparve in sogno a Teseo e
lo minacciò se non gli avesse ceduto Arianna. Egli si svegliò spaventato e la
lasciò sull'isola immersa nel sonno. Quella stessa notte ella fu portata da
Dioniso sul monte Drios, e scomparvero entrambi. Teseo proseguì con i giovani
in direzione di Delo, dove ballò una danza che imitava le sinuosità del
labirinto. Ma nella confusione di emozioni per la perdita di Arianna, si
dimenticò di cambiare le vele nere con quella bianca. Egeo che attendeva il
ritorno del figlio dall'alto delle mura, vide dall'Acropoli le vele nere che la
nave portava alla partenza. Così, scorgendo quel segno di sventura, disperato,
si uccise gettandosi in quel mare che da lui prese il nome.
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domenica 30 settembre 2012
La Canzone dei Nibelunghi
Sull'esempio delle chanson de
geste francesi, in area
germanica viene composta la Canzone dei
Nibelunghi, un poema in versi redatto nel Xlll secolo
in volgare tedesco da un autore anonimo che riprende e organizza antichi miti
e leggende: nell'area nord europea queste narrazioni leggendarie di carattere
epico basate su tradizioni popolari vengono dette saghe.
L'opera è suddivisa in 39 canti
costituiti da quartine (strofe di quattro versi] in rima baciata
(AA BB] ed è ambientata nel v secolo d.C. nel territorio che costeggia il
corso del fiume Reno. Essa è strutturata in due ampi nuclei narrativi, il primo
dei quali ha come protagonista l'eroe Sigfrido e si conclude con la sua uccisione, mentre il
secondo ruota intorno alla moglie Crimilde e al suo progetto di vendicare la morte dell'amato.
La Canzone dei
Nibelunghi ha una grande diffusione
popolare, e grazie al ritrovamento di antichi manoscritti la sua fama cresce a
partire dal XVlll secolo raggiungendo il suo apice nel Novecento,
quando il compositore Richard Wagner si ispira a essa per il suo ciclo di
quattro drammi musicali intitolato L'anello del Nibelungo.
Protagonisti della Canzone
dei Nibelunghi.
A
differenza dei personaggi delle chanson de geste francesi,
i protagonisti della Canzone dei Nibelunghi appaiono
psicologicamente complessi e sono caratterizzati da passioni violente e
intense che spingono le loro azioni alle estreme conseguenze.
Brunilde è una delle valchirie di Odino, le fanciulle guerriere
che affiancano il re degli dèi. Regna in Islanda, è dotata di poteri magici,
è un'esperta guerriera e sottopone i suoi pretendenti a prove durissime. Quando
scopre l'inganno di Sigfrido si vendica in modo terribile.
Crimilde è la
sorella del re dei Burgundi Gunther. Sposa Sigfrido nonostante una profezia le
abbia predetto la fine prematura dell'uomo e alla sua morte accetta le nozze
con il re degli Unni Etzel (Attila). Inizialmente timida e gentile, dopo l'uccisione di Sigfrido è
animata da un violento spirito di vendetta.
Gunther è re dei Burgundi e fratello di Crimilde. Ottiene
la mano di Brunilde grazie all'aiuto di Sigfrido a cui dà in sposa la sorella,
ma tradisce l'antico compagno per sottrargli il tesoro dei Nibelunghi. È un
uomo debole, insicuro e molto avido.
Hagen vassallo di Gunther, si
fa rivelare da Crimilde il punto debole
di Sigfrido e lo uccide a tradimento, poi seppellisce il
tesoro dei Nibelunghi nel Reno per evitare che la donna lo usi per realizzare
la sua vendetta.
Sigfrido è un
discendente del capo degli dèi Odino. Quando si immerge nel sangue del drago
Fafnir diventa invulnerabile in tutto il corpo tranne che in un punto della
schiena su cui si è posata una foglia. Aiuta Gunther a conquistare Brunilde,
sposa Crimilde e viene ucciso da Hagen. È giovane e bello e simboleggia il
coraggio, la lealtà, la generosità e l'altruismo.
La trama
Sigfrido, figlio del re della regione del basso Reno, parte per
impossessarsi dell'immenso tesoro dei Nibelunghi, una stirpe di nani che vive
sotto terra e conosce i segreti della fusione del ferro: nel corso della sua
impresa Sigfrido sottrae al nano Alberico un cappuccio magico che lo rende
invisibile e gli dà la forza di dodici guerrieri, uccide il drago Fafnir e si
bagna nel suo sangue diventando quasi
completamente invulnerabile, trannein un punto tra le scapole dove si è posata una foglia.. Conquistato il tesoro dei Nibelunghi, Sigfrido
giunge alla corte dei Burgundi (stanziati lungo il corso del fiume Reno), dove
cerca di ottenere la mano di Crimilde, la sorella del re Gunther nota per la
sua bellezza. Per raggiungere il suo scopo promette a Gunther di aiutarlo a
conquistare la crudele regina d'Islanda Brunilde, che sottopone i suoi
pretendenti a terribili prove di forza e di coraggio.
Durante
il torneo Sigfrido si rende invisibile e sconfigge Brunilde, costringendola a
sposare Gunther che crede il vero vincitore della sfida. Grazie alla sua impresa
anche Sigfrido può sposare Crimilde e tornare con lei nella sua terra.
Trascorsi dieci anni, le due coppie si ritrovano, ma nel corso di una violenta
lite Crimilde rivela a Brunilde l'inganno che si cela dietro le sue nozze,
suscitando in lei un furioso spirito di vendetta. L'odio nei confronti di
Sigfrido dilaga e coinvolge anche Gunther, che vuole eliminare l'antico
alleato per impadronirsi del suo tesoro; quando il vassallo Hagen scopre il suo
punto debole Sigfrido viene ucciso e i due rubano il tesoro dei Nibelunghi, nascondendolo nel letto del
fiume Reno. Rimasta vedova, Crimilde accetta di sposare il re degli unni Etzel
(Attila) ma non riesce a vendicare la morte del primo marito; dodici anni dopo,
in occasione della nascita del primogenito, invita i Burgundi alla sua corte e
durante i festeggiamenti li fa sterminare tutti.
Solo Hagen e Gunther vengono risparmiati e
sono condotti da Crimilde che, dopo aver fatto decapitare il fratello, chiede
ad Hagen di svelarle il luogo dove è nascosto il tesoro.
Al suo rifiuto, Crimilde decapita Hagen con
la spada di Sigfrido, ma viene uccisa a sua volta da Ildebrando, un maestro
d'armi degli Unni indignato dalla crudeltà della donna: la conclusione del
poema realizza un'antica profezia secondo cui l'oro dei Nibelunghi è maledetto
e procura morte e rovina a chi cerca di possederlo.
La storia
Nel poema gli elementi
mitici e leggendari risalenti alla tradizione germanica e scandinava si
intrecciano a un nucleo storico che viene rielaborato in modo fantasioso.
Nella prima metà del v
secolo il popolo dei Burgundi conquista la riva sinistra del Reno in
precedenza controllata dai Romani e vi si insedia stabilmente. Qualche
decennio dopo i Burgundi vengono attaccati e sconfitti
dagli Unni, una popolazione nomade e guerriera proveniente dall'Asia e guidata
da Attila. I superstiti sono costretti a spostarsi verso ovest, nel territorio
dell'attuale Francia che da loro prende il nome di Borgogna. Lo sterminio dei
Burgundi durante i festeggiamenti alla corte degli Unni
rappresenterebbe quindi in modo simbolico la fine dell'egemonia burgunda e l'affermarsi nel loro territorio di un
nuovo popolo di dominatori.
Nella Canzone
dei Nibelunghi ritroviamo diversi temi tipici
dei poemi cavallereschi, quali l'esaltazione del coraggio e della forza fisica
e l'intervento di forze magiche e soprannaturali nelle vicende umane
Ma l’opera è un’epopea pagana
che rappresenta un mondo feroce, crudele, spietato in cui i sentimenti
dominanti sono: l’odio, l’invidia, il desiderio di potere e la sete di
vendetta. E’ questo un valore culturale specifico delle antiche popolazioni
germaniche, lo spirito di vendetta spinge Brunilde a far uccidere Sigfrido e
Crimilde a provocare lo sterminio del suo stesso popolo.
La legge germanica
prevede infatti che chi ritiene di essere stato danneggiato da qualcuno possa
vendicarsi con un'azione personale, per costringere chi gli ha procurato il
danno a espiare la propria colpa. Questo meccanismo si chiama faida e può coinvolgere due individui, ma anche
due clan (famiglie allargate) o addirittura due territori: per questo motivo
le azioni compiute da Brunilde e Crimilde, che a noi paiono crudeli ed eccessivamente
violente, sono invece perfettamente coerenti con i valori e la cultura della società in cui
esse vivono.
L’unico
personaggio che non si macchia di delitti e viltà è Sigfrido che rappresenta il
nobile e perfetto cavaliere, valoroso, generoso e leale, dotato di tutte le
virtù tipiche del mondo cortese e cavalleresco del XIII secolo
Il Cantare del mio Cid: il più importante poema epico spagnolo.
Il
poema del mio Cid è il più importante
poema epico spagnolo e, come la Chanson de Roland, celebra
la difesa della cristianità occidentale contro gli arabi invasori.
Ne
è protagonista Rodrigo Diaz de Vivar, che è realmente vissuto e che è
considerato un eroe nazionale per aver compiuto straordinarie imprese contro
glia Arabi che occupavano la Spagna. Rodrigo Diaz conte di Bivar, meglio conosciuto con
il nome di Cid Campeador, nacque, intorno al 1040 d.C., a Bivar, un
paesino vicino a Burgos nel regno di Castiglia. Proveniva da una famiglia della
piccola nobiltà castigliana. Crebbe alla corte del Re di Castiglia ed
ebbe una buona educazione, come si addiceva ai figli della nobiltà. La leggenda
vuole che al momento del suo battesimo un monaco gli regalasse il cavallo che
poi lo accompagnò in tutte le sue avventure: il famoso Babieca.
Il nome El Cid Campeador gli venne attribuito più
avanti. È composto da due parti: El Cid, nomignolo datogli dagli arabi e che
significa "Il signore" in una lingua mista di spagnolo e arabo,
Campeador, “il campione", invece, gli venne dato dagli spagnoli dopo le
sue vittorie. Questo soprannome, quindi,
dimostra che il personaggio godeva del rispetto e dell'ammirazione sia tra gli
spagnoli che tra gli arabi.
Come la Chanson de Roland
è il poema della cristianità e delle gesta dei paladini in difesa
della patria, questo è il poema della fedeltà assoluta al proprio re, che viene
mantenuta nonostante le amarezze e le delusioni.
Il protagonista, Rodrigo Diaz de Bivar detto il Cid Campeador (signore
del campo di battaglia), è un vassallo di re Alfonso VI di Castiglia che, all'età
di quarant'anni circa, viene accusato ingiustamente di essersi appropriato di
somme spettanti al re e viene esiliato dopo la confisca dei suoi beni. Il Cid
incarna l'ideale del perfetto vassallo fedele e onesto anche se umiliato.
Messo al bando, compie imprese in nome del re, conquista castelli e territori e
attira sempre nuovi seguaci. Si impadronisce della città di Valenza, creando un
nuovo feudo cristiano, e a ogni nuova conquista invia doni al re chiedendone il
perdono, che infine giunge. Il re stesso esorta Rodrigo Diaz a concedere la
mano delle sue figlie a due principi eredi della grande casa feudale di
Carriòn, che in realtà mirano soltanto alle ricchezze del Cid. Questi
accontenta il re, anche se ritiene indegni i due futuri generi. Celebrato il
matrimonio, i due infanti di Carriòn nel condurre le spose nella propria terra
le brutalizzano e le abbandonano in un bosco, ritenendo disonorevole il
matrimonio con le figlie di un esule. Ma il Cid si vendica chiedendo, di fronte
all'assemblea dei grandi di Spagna, la restituzione del patrimonio consegnato
ai generi. Il re concede giustizia e le figlie sposeranno in seguito i principi
di Navarra e di Aragona e diventeranno regine.
Questa è la trama del poema. Le vicende sono storiche ma trasfigurate
dalla fantasia popolare.
Anche di questo testo non si conosce con sicurezza l'autore;
probabilmente si trattava di un cantore girovago vissuto nel XII secolo,
cinquant’anni dopo la morte del Cid.
Tizona, la spada dell'eroe spagnolo è tuttora
conservata a Madrid nel museo dell'esercito. Grande fama ha in Spagna anche il
cavallo del Cid, Babieca, a cui sono stati dedicati monumenti e leggende.
Il Cantare del mio CId: il poema
Il poema del mio Cid è un poema
epico formato da 3733 versi di un autore anonimo risalente al 1140, è
considerato il primo documento letterario spagnolo perché scritto in antica
lingua castigliana da cui deriva lo spagnolo moderno. Il
manoscritto fu ritrovato soltanto alla fine del Settecento, privo delle prime
pagine, recava la data del 1307
e il nome di Peter Abbat, un giullare o forse un copista.
Il poema narra fatti fondati sulla realtà storica,
anche se ampiamente romanzati, e si compone di tre canzoni (cantares):la
canzone dell’esilio (El cantar del destriero),la canzone delle nozze (El
cantar de las bodas) e la canzone dell’oltraggio di Corpes (El cantar de
la afrenta de corpes).
Nella prima parte Rodrigo Diaz (El Cid Campeador), vassallo del re, viene accusato da cortigiani maligni di essersi appropriato di una parte dei tributi dovuti dai mori ad Alfonso VI. Esiliato dal re,lascia la moglie Jimena e le figlie Elvira e Sol nel monastero di Gardena e vaga per la Spagna con un gruppo di amici fidati, compiendo imprese a danno dei mori fino alla riconquista di Valencia. Nella seconda parte le sue figlie vanno in spose agli infanti di Càrion, due uomini senza scrupoli, che, umiliati dal Cid durante una festa di corte, nella terza parte del poema, decidono di vendicarsi oltraggiando le loro spose e lasciandole in preda alle belve feroci. Le due donne vengono poi salvate da Felez Munoz nipote del Cid, il quale sfida i due infanti a duello e li uccide. Il poema si conclude con il Cid che riottiene le sue terre, mentre le figlie vanno in spose ad altri due infanti di più nobile carattere.
Nella prima parte Rodrigo Diaz (El Cid Campeador), vassallo del re, viene accusato da cortigiani maligni di essersi appropriato di una parte dei tributi dovuti dai mori ad Alfonso VI. Esiliato dal re,lascia la moglie Jimena e le figlie Elvira e Sol nel monastero di Gardena e vaga per la Spagna con un gruppo di amici fidati, compiendo imprese a danno dei mori fino alla riconquista di Valencia. Nella seconda parte le sue figlie vanno in spose agli infanti di Càrion, due uomini senza scrupoli, che, umiliati dal Cid durante una festa di corte, nella terza parte del poema, decidono di vendicarsi oltraggiando le loro spose e lasciandole in preda alle belve feroci. Le due donne vengono poi salvate da Felez Munoz nipote del Cid, il quale sfida i due infanti a duello e li uccide. Il poema si conclude con il Cid che riottiene le sue terre, mentre le figlie vanno in spose ad altri due infanti di più nobile carattere.
Il Cantare del mio CId: i temi
fondamentali
Il Cantare del Cid celebra innanzi tutto le gesta
eroiche dei combattenti della Reconquista.
Il poema permette, inoltre, di comprendere i valori
morali, le virtù tipiche della società feudale di quel tempo come:
-
il senso
dell’onore e della giustizia;
-
la fedeltà e
la lealtà del cavaliere verso il proprio signore e il proprio sovrano;
-
la fede in Dio
martedì 24 luglio 2012
epica medioevale
L’epica cavalleresca
Dall’epica del mondo
antico all’epica medioevale.
Dopo avere letto alcuni episodi dell’Iliade, dell’Odissea
e dell’Eneide, i tre grandi poemi epici del mondo antico, greco e latino; avete
imparato che per epica si intende la
narrazione poetica delle imprese
gloriose, straordinarie di un popolo,
dei suoi eroi, dei suoi dei. La poesia epica, però non si esaurì con i
poemi di Omero e Virgilio.
Nel periodo
medioevale, infatti, e nei secoli successivi, ebbe una vasta diffusione, dando
origine a un gran numero di poemi e romanzi in prosa.
Nell’alto medioevo, quando l’impero romano di Occidente è
definitivamente tramontato, nascono nuovi regni in cui elementi culturali di
origine romana si fondono con gli apporti delle diverse culture barbariche,
preparando il terreno alla formazione delle future monarchie nazionali che
determineranno poi le sorti dell’Europa moderna e contemporanea: queste
profonde trasformazioni interessano l’economia, la società, il diritto e le
tecniche militari.
Tra il VII e l’VIII secolo, ai confini dell’Europa si
affacciano due popolazioni nuove, gli Arabi,
che attraverso lo stretto di Gibilterra sbarcano in Spagna e minacciano il
continente, e gli Avari, che
muovendosi dall’Asia centrale verso occidente determinano lo spostamento verso
l’Europa centrale di molti altri gruppi seminomadi, tra cui i Longobardi.
Pur essendo civiltà diversissime tra loro, Arabi e Avari
sono accomunati dall’uso del cavallo negli scontri bellici e ciò costringe le
popolazioni europee che entrano in conflitto con loro – in primo luogo i
Franche – a trasformare il proprio modo di combattere per potersi opporre
efficacemente agli invasori: negli scontri militari viene utilizzata
massicciamente la cavalleria e dall’VIII secolo il cavaliere diviene la figura centrale di ogni azione militare.
Gli elementi che caratterizzano la civiltà medioevale fin
dal suo nascere sono due: la fede e
le armi. La fede da valore tanto
alle gesta degli eroi, quanto alla vita quotidiana della gente; l’uso delle
armi, invece, è la principale attività dei nobili cavalieri.
Dopo la caduta dell’Impero romano nascono i nuovi regni
romano barbarici, il cui patrimonio di miti e leggende viene trasmesso in forma
poetica utilizzando le lingue volgari, ossia le lingue locali che progressivamente
sostituiscono il latino. Riprende così vigore in Europa la tradizione dei poemi
epici, che ora celebrano la nascente società feudale e sono dominati dalla
figura del cavaliere, un personaggio che agisce sulla spinta di alti ideali
come la difesa dei deboli, delle donne e della fede cristiana.
È per questo motivo che nel medioevo si parla di epica
cavalleresca, anche se i diversi poemi assumono di volta in volta
caratteristiche specifiche in relazione alla realtà storica e culturale
all’interno della quale vengono elaborati.
L’eroe dell’epica medioevale è il cavaliere “senza macchia e senza paura”, che combatte in difesa
della fede cristiana, della patria, della giustizia. I poemi medioevali, anche
se arricchiti di elementi fantastici, rispecchiano senz’altro la realtà sociale
e culturale del tempo, centrata sul
cavaliere considerato un campione della fede e un difensore delle
cristianità contro gli infedeli. Figura importante dei poemi è quella del cavaliere errante per lo più figlio cadetto dei feudatari. Questi
non possedendo un feudo proprio, si mette
a disposizione di un signore o del re: durante la cerimonia
dell’investitura, presta giuramento di fedeltà promettendo di mettere le
proprie armi al servizio della Chiesa e “di non usare mai la spada per ferire
qualcuno ingiustamente, ma sempre per difendere causa nobili e giuste”.
Difendere la fede cristiana da ogni nemico, difendere l’integrità e l’onore del
proprio signore e della propria terra, soccorrere i poveri, gli orfani e le
vedove: questi sono i compiti degli eroi del mondo medioevale.
I giullari, i
cantastorie del tempo che si spostano da un luogo all’altro dell’Europa,
diffondono le vicende di questi eroi. I loro semplici racconti – spesso in
versi, in modo tale da poter essere cantati con l’accompagnamento di strumenti musicali – si arricchiscono man mano
di nuove storie e avventure, attorno al nucleo centrale di alcuni temi
ricorrenti: la guerra agli infedeli, l’abilità nelle armi, la fedeltà al re. A
partire dal XII secolo, alcuni scrittori riuniscono e perfezionano questi
racconti, componendo opere di grande valore artistico, umano e storico.
L’epica
cavalleresca medioevale.
Nell’Europa occidentale si sviluppano due filoni narrativi
fondamentali: le Canzoni di Gesta e
i Romanzi della Tavola Rotonda. Del
primo filone fa parte, per esempio, la Chanson de Roland, che apre il cosiddetto ciclo carolingio ( una serie di poemi
dedicati ai paladini di Carlo Magno ). Il secondo filone è costituito dai
romanzi che narrano le avventura dei cavalieri di re Artù e viene chiamato
anche ciclo bretone, dal nome della
regione in cui si svolgono le vicende (la zona della Bretagna, che comprendeva
l’odierna Inghilterra e il nord della Francia). Il ciclo carolingio si sviluppa
contemporaneamente al ciclo bretone ma,
mentre il primo si diffonde in misura maggiore tra il popolo, il secondo trova
il suo pubblico soprattutto nelle corti del nord della Francia. I romanzi di re
Artù, infatti, sono più raffinati rispetto alle opere del ciclo carolingio:
l’intreccio è più complesso e i temi non sono solo guerreschi, ma anche
amorosi.
Il ciclo carolingio. Tra le tante guerre che Carlo Magno, re dei Franchi, combatté e
vinse in Europa contro Bavari, Frisoni, Slavi, Avari, Bretoni e Longobardi,
quelle contro gli arabi – che nel 771 avevano occupato quasi tutta la Spagna costituendo una minaccia per l’Europa
cristiana – non sono ricordate nella storia come le più gloriose: Carlo Magno,
infatti, nelle sue spedizioni riuscì a strappare agli Arabi soltanto un piccolo
territorio al di là dei Pirenei.
Nella letteratura, invece, furono proprio queste guerre
del re cristiano contro i musulmani
(chiamati anche saraceni o mori)
che riempirono le pagine di biblioteche intere ed ebbero enorme fortuna
popolare, soprattutto in Spagna e in Italia. Le imprese attribuite al re
dei Franchi e ai suoi paladini ( i dodici cavalieri che formavano la guardia
del corpo del re) cominciarono ad essere scritte – in prosa e in versi – alcuni
secoli dopo che si erano svolte, quando in Europa furono organizzate le
crociate per liberare Gerusalemme e la Palestina, occupate dai Turchi musulmani. Il
racconto delle guerre, combattete e vinte dal re cristiano contro i musulmani
di Spagna, accendeva gli animi, mentre i crociati, come i gloriosi paladini di
un tempo, si preparavano a partire per andare a liberare il Santo Sepolcro dai Turchi.
Con l’andar del tempo si spense l’entusiasmo per le guerre
sante e non furono più organizzate crociate, ma i duelli e le battaglie tra
cavalieri cristiani e musulmani continuarono ad essere scritti e
raccontati come esempio di ogni contesa
e di ogni avventura. Predominante, infatti, per tutta l’epoca medioevale rimane
la figura del cavaliere impegnato a combattere in difesa della fede.
Re Artù e i cavalieri
della Tavola Rotonda. Le
storie di questo ciclo narrano
ancora di cavalieri solitari, i cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù,
sempre in viaggio alla ricerca di avventure e amori, mossi da sentimenti di
lealtà, di devozione, di cortesia.
La crisi della
cavalleria.
Dopo il periodo
medievale, l’ideale cavalleresco sopravvisse, ma fu lentamente svuotato del suo
valore fino a ridursi, nelle corti rinascimentali, a pura esteriorità. Nel
1400-1500 con l’affermazione della civiltà umanistica e rinascimentale, la
figura del cavaliere si trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più
rappresentato come l’eroe per eccellenza, il depositario di tutte le virtù,
bensì come un uomo, con le debolezze, le
passioni tipiche degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette
la nuova realtà e mentalità del Rinascimento, attenta a valorizzare l’uomo e i
suoi sentimenti. In questo periodo inoltre la materia cavalleresca intende
soddisfare le esigenze di una società aristocratica di gusti ricercati, più facile
a entusiasmarsi per le narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di
guerra e di dedizione al dovere. Nelle
corti rinascimentali si continuavano ad ascoltare storie che avevano per
protagonisti i cavalieri; non più però per esaltarne gli alti ideali, ma per
divertire i nobili con il racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in
quell’epoca, in cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del
cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali a cui si ispirava. Gli scrittori del XV e del XVI secolo
capirono tale declino e lo descrissero nelle loro opere – che riprendevano i
racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come Ludovico Ariosto
nel suo Orlando Furioso; ora con
nostalgia, come Torquato Tasso nella Gerusalemme
Liberata; ora con ironia e nostalgia insieme, come lo spagnolo Miguel de
Cervantes nel suo Don Chisciotte.
Orlando, paladino di Francia, protagonista
dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, non è più
rappresentato come un valoroso difensore della fede, ma come un cavaliere che
lascia il campo cristiano di Carlo Magno e la difesa di Parigi, travolto dalla
passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del re del Catai.Nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, invece, il cavaliere
torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi, anche se tormentato
de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don
Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel
de Cervantes segna la definitiva scomparsa del cavaliere medioevale. Don
Chisciotte non è altro che una patetica figura di cavaliere che vive “da folle”
avventure appartenenti a un mondo ormai passato.
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giovedì 3 maggio 2012
Proemio Eneide
Canto le armi,
canto l'uomo che primo da Troia
venne in Italia, profugo per
volere del Fato
sui lidi di Lavinio. A lungo travagliato
e per terra e per mare dalla
potenza divina
a causa dell'ira tenace della
crudele Giunone,
molto soffrì anche in guerra:
finché fondò una città
e stabilì nel Lazio i Penati di
Troia,
origine gloriosa della razza
latina
e albana, e delle mura di Roma,
la superba.
Musa, ricordami tu le ragioni di
tanto
doloroso penare: ricordami
l'offesa
e il rancore per cui la regina
del cielo
costrinse un uomo famoso per la
propria pietà
a soffrire così, ad affrontare
tali
fatiche. Di tanta ira son capaci
i Celesti?
Versione in prosa del proemio
Canto le imprese militari
(battaglie)
ed Enea, il primo uomo che da
Troia
giunse in Italia, fuggiasco (profugo) per
volere del Fato (destino)
sui lidi del Lazio dove sarebbe
sorta Lavinio. Sospinto a lungo
sia per terra che per mare dall’ostilità
degli dei
a causa dell'ira tenace della
crudele Giunone,
molto soffrì anche in guerra:
finché fondò una città
e stabilì nel Lazio i Penati di
Troia,
origine gloriosa della razza
latina
e albana, e delle mura di Roma,
la superba.
Musa, ricordami tu i motivi di
tanto
doloroso penare: ricordami
l'offesa
e il rancore per cui la regina
del cielo
costrinse un uomo famoso per la propria pietà
a soffrire così, ad affrontare
tali
fatiche. Tanto grande è la furia
degli dei?
commento al proemio
Anche l’Eneide comincia con un proemio nel quale si riassume l’argomento, si introduce il protagonista e si invoca la Musa senza però chiederle l’ispirazione, infatti con il termine "canto" il poeta sottolinea la sua originalità.
Fin dai primi versi emergono
alcuni aspetti originali del proemio di Virgilio, tra cui la convinzione che la
storia umana sia caratterizzata dal dolore e dalla sofferenza e
l’interpretazione della missione di Enea come fattore determinante per la
nascita di una nuova e superiore civiltà: quella romana.
Un altro elemento di novità è costituito dalle caratteristiche morali e psicologiche dell’eroe troiano, che non è aggressivo e feroce come il protagonista dell’Iliade, Achille, né astuto e sagace come il greco Odisseo, ma è soprattutto dotato di pietas, un insieme di devozione religiosa, amore per la patria,rispetto verso la famiglia e capacità di anteporre il bene comune al proprio interesse personale.
Un altro elemento di novità è costituito dalle caratteristiche morali e psicologiche dell’eroe troiano, che non è aggressivo e feroce come il protagonista dell’Iliade, Achille, né astuto e sagace come il greco Odisseo, ma è soprattutto dotato di pietas, un insieme di devozione religiosa, amore per la patria,rispetto verso la famiglia e capacità di anteporre il bene comune al proprio interesse personale.
Esercizi sul proemio
- Quali eventi futuri vengono anticipati nel proemio?
- Secondo te gli eventi futuri citati nei versi 7-10 sono fatti storici o leggende?
- Cosa chiede Virgilio alla Musa?
- Quale caratteristica morale distingue Enea dagli altri uomini? Sottolinea l’espressione utilizzata da Virgilio.
- La convinzione di Virgilio che la vita e la storia umana siano soprattutto dolore emerge da numerose espressioni che richiamano il concetto di sofferenza e difficoltà: sottolineale e trascrivile sul quaderno
lunedì 19 marzo 2012
Il riassunto
Riassumere significa esporre brevemente e con parole
proprie il contenuto essenziale di una narrazione più ampia e particolareggiata.
Il riassunto ha due funzioni, una
per chi lo fa e una per chi lo legge.
L’arte del riassumere è importante
e utilissima e la si impara mettendole in atto.
Fare riassunti serve a condensare
le idee, in altre parole insegna a scrivere.
Le domande fondamentali:
CHI? (i personaggi)
DOVE? (il luogo)
PERCHE’? (il motivo)
CHE COSA? (il fatto)
QUANDO? (il tempo)
Scheda guida per fare il riassunto:
Leggere attentamente
il racconto e capirne bene il significato generale cercando sul vocabolario il
significato di eventuali parole difficili o sconosciute.
Dividere il racconto in parti o sequenze per capire la successione logica dei fatti.
Individuare i fatti principali, eliminando
quelle informazioni (anche intere sequenze) che non sono indispensabili per lo
svolgimento del racconto, ma che servono semplicemente ad arricchirlo.
Esporre con parole proprie, in forma sintetica e con
periodi semplici e scorrevoli, il contenuto essenziale del racconto, usando un
linguaggio referenziale, che si limiti cioè a riferire i fatti così come sono,
senza alcuna considerazione personale.
In quest’ultima operazione vi sono
delle precise regole da osservare:
-
trasformare il discorso diretto in discorso indiretto
facendo attenzione al cambiamento di persona (da 1° a 3°) al verbo ai pronomi
personali, agli aggettivi e pronomi possessivi;
-
scegliere il tempo verbale da usare nelle proposizioni
principali e mantenerlo nello svolgimento del riassunto.
Come analizzare un racconto
Il racconto
è costituito da una trama, cioè l’ossatura fondamentale della storia che si
sviluppa nelle sequenze. La sequenza
è una parte di racconto che rivela unità di tempo, luogo, azione,
contenuto.
Le
sequenze: narrano, descrivono, esprimono giudizi o riflessioni dei personaggi,
esprimono giudizi e riflessioni dell’autore.
Per
individuare il passaggio da una sequenza all’altra esistono dei segnali
indicatori:
a)
introduzione o nascita di un personaggio;
b)
cambiamento di luogo;
c)
cambiamento di tempo;
d)
cambiamento di modalità del testo: passaggio dalla
narrazione alla descrizione, al dialogo.
Tra una sequenza e l’altra ci deve essere una differenza
di contenuto (a,b,c) o di forma (d).
Il racconto si sviluppa attorno ai personaggi. I personaggi possono essere analizzati
secondo:
-
aspetto;
-
comportamento;
-
sentimenti, carattere.
In base al ruolo che i personaggi hanno nella storia si
possono cogliere le relazioni, cioè i rapporti che hanno tra loro. Si
possono individuare:
a)
relazioni positive: amore, collaborazione;
b)
relazioni conflittuali: scontro, contrapposizione;
c)
relazioni di indifferenza: i personaggi agiscono
vicini senza avere relazioni.
Il racconto può essere narrato:
-
dal protagonista;
-
da un personaggio marginale;
-
da un narratore esterno che sembra sapere e vedere ogni
fatto, ogni evento.
Per analizzare un racconto si devono cogliere:
a)
le caratteristiche dei luoghi;
b)
la dimensione temporale come successione o durata.
I personaggi sono l’elemento fondamentale del
racconto, oltre i personaggi possono avere un ruolo importante: oggetti,
animali, elementi del paesaggio. Oltre le relazioni tra personaggi è importante
cogliere l’evoluzione psicologica e le trasformazioni interiori.
I luoghi. Per analizzare i luoghi occorre (oltre
all’individuazione):
-
distinguere se reali o immaginari;
-
enucleare ciò che li caratterizza;
-
riflettere sulle modalità di presentazione:
1.
esauriente e dettagliata;
2.
con annotazioni esplicite riportate dall’autore;
3.
senza nessuna informazione diretta per cui i luoghi
vanno dedotti.
-
esaminare il ruolo della descrizione che può:
1.
introdurre le vicende;
2.
interrompere la successione degli eventi;
3.
riflettere e rispecchiare la psicologia dei
personaggi.
I tempi.
L’analisi dei tempi di una storia riguarda:
-
l’ordine degli avvenimenti narrati che può:
1.
essere cronologico, seguire la successione temporale
reale;
2.
anticipare fatti futuri;
3.
ricordare eventi passati.
-
la durata degli avvenimenti. Per esaminare la durata
degli avvenimenti occorre riflettere sul rapporto tra tempo del discorso e
tempo della storia. Il tempo della storia è il tempo della durata reale degli
avvenimenti, il tempo del discorso è il tempo della narrazione. Si possono
verificare tre tipi di rapporto tra i due diversi tempi:
1.
il tempo del discorso è più breve di quello della
storia, narratore che riassume;
2.
il tempo del discorso è uguale a quello della storia,
dialoghi;
3.
il tempo del discorso è più lungo di quello della
storia, il narratore sospende il racconto per lunghe riflessioni o descrizioni.
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