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mercoledì 2 ottobre 2013
Ludovico Ariosto e Torquato Tasso
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mercoledì 3 ottobre 2012
DOPO IL MEDIOEVO L’EROE SI TRASFORMA
L’eroe dell’epica medioevale è il cavaliere “senza macchia e senza paura”,
che combatte in difesa della fede cristiana, della patria, della giustizia. I
poemi medioevali rispecchiano senz’altro la realtà sociale e culturale che li
ha creati, centrata sulla figura del cavaliere considerato un campione della
fede e un difensore delle cristianità contro gli infedeli.
Dopo il periodo medievale, l’ideale cavalleresco
sopravvisse, ma fu lentamente svuotato del suo valore fino a ridursi, nelle
corti rinascimentali, a pura esteriorità. Nel 1400-1500 con l’affermazione
della civiltà umanistica e rinascimentale, la figura del cavaliere si
trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più rappresentato come l’eroe
per eccellenza, il depositario di tutte le virtù, bensì come un uomo,
con le debolezze, le passioni tipiche
degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette la nuova realtà
e mentalità del Rinascimento, attenta a valorizzare l’uomo e i suoi sentimenti.
In questo periodo inoltre la materia cavalleresca intende soddisfare le
esigenze di una società aristocratica di gusti ricercati, più facile a
entusiasmarsi per le narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di
guerra e di dedizione al dovere. Nelle
corti rinascimentali si continuavano ad ascoltare storie che avevano per
protagonisti i cavalieri; non più però per esaltarne gli alti ideali, ma per
divertire i nobili con il racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in
quell’epoca, in cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del
cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali a cui si
ispirava. Gli scrittori del XV e del XVI
secolo capirono tale declino e lo descrissero nelle loro opere – che
riprendevano i racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come
Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso;
ora con nostalgia, come Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata; ora con ironia e nostalgia insieme, come lo
spagnolo Miguel de Cervantes nel suo Don
Chisciotte.
Ecco allora che
Orlando, paladino di Francia, protagonista dell’Orlando Furioso di Ludovico
Ariosto, non è più rappresentato come un valoroso difensore della fede, ma
come un cavaliere che lascia il campo cristiano di Carlo Magno e la difesa di
Parigi, travolto dalla passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del
re del Catai.
Nella Gerusalemme
Liberata di Torquato Tasso,
invece, il cavaliere torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi,
anche se tormentato de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel de Cervantes segna la definitiva
scomparsa del cavaliere medioevale. Don Chisciotte non è altro che una patetica
figura di cavaliere che vive “da folle” avventure appartenenti a un mondo ormai
passato.
Anche nei tre romanzi di Italo Calvino, del 1959, che
compongono il ciclo dei “Nostri antenati”: “Il visconte dimezzato”, “Il barone
rampante”, “Il cavaliere inesistente”; la figura del cavaliere medioevale è
svuotata e quasi ridicolizzata. Il visconte dimezzato racconta di un valoroso
cavaliere di Carlo Magno, Agilulfo, sempre pronto a combattere "per
la santa causa", cioè per cristianizzare tutto il mondo attraverso le
Crociate. Indossa una lucida armatura bianca, è incline alla perfezione e alla
nobiltà d'animo, sempre pronto a risanare i torti, pieno di spirito e
razionalità che però ha un unico difetto: non esiste! Ha una voce metallica e
meccanica, è molto freddo, pignolo e perciò spesso abbastanza impaziente; è
molto sincero, dice sempre la verità poiché è incapace di dire il falso.
Inizialmente è molto razionale e calcolatore, pian piano riesce però a “umanizzarsi”,
scoprendo di avere anch'egli dei sentimenti. Con questo libro Calvino ha voluto
farci riflettere sulla condizione dell’uomo e su alcuni aspetti della realtà
del nostro tempo: l’uomo d’oggi, infatti, privo d’identità, quasi
inesistente, si può identificare nella figura del cavaliere inesistente. L’uomo
appare di fatto incerto, insicuro, perplesso, privo di sicurezza, è vuoto
dentro com’è vuota la bianca armatura d’Agilulfo. Altri temi che si possono
trarre dal libro sono quello della ricerca di sé, quello della
formazione dell’essere, quello del trovare il senso della vita nella
realizzazione di un ideale e quello della guerra. Ma il tema fondamentale è
certamente quello che non può esistere solo un’anima senza corpo, come Agilulfo
o un corpo senz’anima, come Gurdulù. Solo attraverso l’unione di questi due
importantissimi elementi si può parlare di vita. La figura di Rambaldo è il
punto d’unione di questi due personaggi: egli, infatti, agisce secondo il corpo
e si lascia guidare dalla sua anima. Morale di tutta la storia, “ ad essere
s’impara”. Calvino ci narra le vicende di questo paladino, delle sue
avventure tra Francia, Scozia e Marocco e, dei suoi compagni di viaggio:
la bella Bradamante (che si scoprirà poi essere la narratrice del romanzo),
innamorata del cavaliere inesistente; l’infuocato Rambaldo desideroso di
vendicare il padre morto in battaglia; il giovane Torrismondo, alle prese con
la ricerca dei Cavalieri del Sacro Graal e, lo scudiero di Agilulfo, Gurdulù.
Nella caratterizzazione di questo personaggio viene palesata la genialità di
Calvino: questi è infatti all’opposto del cavaliere inesistente. Gurdulù è un
pazzo con il quale è praticamente impossibile avere qualsiasi tipo di
comunicazione; lui, al contrario di Agilulfo, esiste, ma non sa di esserci. Il
tutto viene descritto alla maniera di Calvino, in un Medioevo fiabesco, pregno
di ironia e di grandi temi affrontati con la leggerezza di chi è capace di
raccontare davvero.
Questo
racconto vuole in realtà rappresentare una realtà sociale, cioè la conquista
dell’essere, oggi divenuta molto difficile visto tutti i modelli che ci vengono
proposti. Agilulfo che in verità era “vuoto” rappresenta la società di oggi, in
cui l’uomo è sempre più “vuoto”, più superficiale e attaccato alle cose frivole
come se fosse privo di qualcosa: ma non di qualcosa di piccolo ed
insignificante ma probabilmente quello che si va sempre più dimenticando sono i
valori fondamentali e basilari come lo può essere importante e basilare un
corpo per un cavaliere. L’autore quindi, ci parla dell’uomo moderno, della sua
solitudine e della totale impossibilità di autenticità. Temi come quello delle
maschere, dell’inconsistenza, delle nevrosi corrono per le pagine di questo
romanzo insieme a saraceni e paladini, a conventi e a giochi di parole;
parole mai difficili ma usate con la maestria di chi sa bene come farci
venire voglia di girare pagina fino alla fine. Citando lo scrittore
stesso: “la pagina ha il suo bene
solo quando la volti e c’è la vita dietro che spinge a scompigliare tutti i
fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre
le strade
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martedì 24 luglio 2012
epica medioevale
L’epica cavalleresca
Dall’epica del mondo
antico all’epica medioevale.
Dopo avere letto alcuni episodi dell’Iliade, dell’Odissea
e dell’Eneide, i tre grandi poemi epici del mondo antico, greco e latino; avete
imparato che per epica si intende la
narrazione poetica delle imprese
gloriose, straordinarie di un popolo,
dei suoi eroi, dei suoi dei. La poesia epica, però non si esaurì con i
poemi di Omero e Virgilio.
Nel periodo
medioevale, infatti, e nei secoli successivi, ebbe una vasta diffusione, dando
origine a un gran numero di poemi e romanzi in prosa.
Nell’alto medioevo, quando l’impero romano di Occidente è
definitivamente tramontato, nascono nuovi regni in cui elementi culturali di
origine romana si fondono con gli apporti delle diverse culture barbariche,
preparando il terreno alla formazione delle future monarchie nazionali che
determineranno poi le sorti dell’Europa moderna e contemporanea: queste
profonde trasformazioni interessano l’economia, la società, il diritto e le
tecniche militari.
Tra il VII e l’VIII secolo, ai confini dell’Europa si
affacciano due popolazioni nuove, gli Arabi,
che attraverso lo stretto di Gibilterra sbarcano in Spagna e minacciano il
continente, e gli Avari, che
muovendosi dall’Asia centrale verso occidente determinano lo spostamento verso
l’Europa centrale di molti altri gruppi seminomadi, tra cui i Longobardi.
Pur essendo civiltà diversissime tra loro, Arabi e Avari
sono accomunati dall’uso del cavallo negli scontri bellici e ciò costringe le
popolazioni europee che entrano in conflitto con loro – in primo luogo i
Franche – a trasformare il proprio modo di combattere per potersi opporre
efficacemente agli invasori: negli scontri militari viene utilizzata
massicciamente la cavalleria e dall’VIII secolo il cavaliere diviene la figura centrale di ogni azione militare.
Gli elementi che caratterizzano la civiltà medioevale fin
dal suo nascere sono due: la fede e
le armi. La fede da valore tanto
alle gesta degli eroi, quanto alla vita quotidiana della gente; l’uso delle
armi, invece, è la principale attività dei nobili cavalieri.
Dopo la caduta dell’Impero romano nascono i nuovi regni
romano barbarici, il cui patrimonio di miti e leggende viene trasmesso in forma
poetica utilizzando le lingue volgari, ossia le lingue locali che progressivamente
sostituiscono il latino. Riprende così vigore in Europa la tradizione dei poemi
epici, che ora celebrano la nascente società feudale e sono dominati dalla
figura del cavaliere, un personaggio che agisce sulla spinta di alti ideali
come la difesa dei deboli, delle donne e della fede cristiana.
È per questo motivo che nel medioevo si parla di epica
cavalleresca, anche se i diversi poemi assumono di volta in volta
caratteristiche specifiche in relazione alla realtà storica e culturale
all’interno della quale vengono elaborati.
L’eroe dell’epica medioevale è il cavaliere “senza macchia e senza paura”, che combatte in difesa
della fede cristiana, della patria, della giustizia. I poemi medioevali, anche
se arricchiti di elementi fantastici, rispecchiano senz’altro la realtà sociale
e culturale del tempo, centrata sul
cavaliere considerato un campione della fede e un difensore delle
cristianità contro gli infedeli. Figura importante dei poemi è quella del cavaliere errante per lo più figlio cadetto dei feudatari. Questi
non possedendo un feudo proprio, si mette
a disposizione di un signore o del re: durante la cerimonia
dell’investitura, presta giuramento di fedeltà promettendo di mettere le
proprie armi al servizio della Chiesa e “di non usare mai la spada per ferire
qualcuno ingiustamente, ma sempre per difendere causa nobili e giuste”.
Difendere la fede cristiana da ogni nemico, difendere l’integrità e l’onore del
proprio signore e della propria terra, soccorrere i poveri, gli orfani e le
vedove: questi sono i compiti degli eroi del mondo medioevale.
I giullari, i
cantastorie del tempo che si spostano da un luogo all’altro dell’Europa,
diffondono le vicende di questi eroi. I loro semplici racconti – spesso in
versi, in modo tale da poter essere cantati con l’accompagnamento di strumenti musicali – si arricchiscono man mano
di nuove storie e avventure, attorno al nucleo centrale di alcuni temi
ricorrenti: la guerra agli infedeli, l’abilità nelle armi, la fedeltà al re. A
partire dal XII secolo, alcuni scrittori riuniscono e perfezionano questi
racconti, componendo opere di grande valore artistico, umano e storico.
L’epica
cavalleresca medioevale.
Nell’Europa occidentale si sviluppano due filoni narrativi
fondamentali: le Canzoni di Gesta e
i Romanzi della Tavola Rotonda. Del
primo filone fa parte, per esempio, la Chanson de Roland, che apre il cosiddetto ciclo carolingio ( una serie di poemi
dedicati ai paladini di Carlo Magno ). Il secondo filone è costituito dai
romanzi che narrano le avventura dei cavalieri di re Artù e viene chiamato
anche ciclo bretone, dal nome della
regione in cui si svolgono le vicende (la zona della Bretagna, che comprendeva
l’odierna Inghilterra e il nord della Francia). Il ciclo carolingio si sviluppa
contemporaneamente al ciclo bretone ma,
mentre il primo si diffonde in misura maggiore tra il popolo, il secondo trova
il suo pubblico soprattutto nelle corti del nord della Francia. I romanzi di re
Artù, infatti, sono più raffinati rispetto alle opere del ciclo carolingio:
l’intreccio è più complesso e i temi non sono solo guerreschi, ma anche
amorosi.
Il ciclo carolingio. Tra le tante guerre che Carlo Magno, re dei Franchi, combatté e
vinse in Europa contro Bavari, Frisoni, Slavi, Avari, Bretoni e Longobardi,
quelle contro gli arabi – che nel 771 avevano occupato quasi tutta la Spagna costituendo una minaccia per l’Europa
cristiana – non sono ricordate nella storia come le più gloriose: Carlo Magno,
infatti, nelle sue spedizioni riuscì a strappare agli Arabi soltanto un piccolo
territorio al di là dei Pirenei.
Nella letteratura, invece, furono proprio queste guerre
del re cristiano contro i musulmani
(chiamati anche saraceni o mori)
che riempirono le pagine di biblioteche intere ed ebbero enorme fortuna
popolare, soprattutto in Spagna e in Italia. Le imprese attribuite al re
dei Franchi e ai suoi paladini ( i dodici cavalieri che formavano la guardia
del corpo del re) cominciarono ad essere scritte – in prosa e in versi – alcuni
secoli dopo che si erano svolte, quando in Europa furono organizzate le
crociate per liberare Gerusalemme e la Palestina, occupate dai Turchi musulmani. Il
racconto delle guerre, combattete e vinte dal re cristiano contro i musulmani
di Spagna, accendeva gli animi, mentre i crociati, come i gloriosi paladini di
un tempo, si preparavano a partire per andare a liberare il Santo Sepolcro dai Turchi.
Con l’andar del tempo si spense l’entusiasmo per le guerre
sante e non furono più organizzate crociate, ma i duelli e le battaglie tra
cavalieri cristiani e musulmani continuarono ad essere scritti e
raccontati come esempio di ogni contesa
e di ogni avventura. Predominante, infatti, per tutta l’epoca medioevale rimane
la figura del cavaliere impegnato a combattere in difesa della fede.
Re Artù e i cavalieri
della Tavola Rotonda. Le
storie di questo ciclo narrano
ancora di cavalieri solitari, i cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù,
sempre in viaggio alla ricerca di avventure e amori, mossi da sentimenti di
lealtà, di devozione, di cortesia.
La crisi della
cavalleria.
Dopo il periodo
medievale, l’ideale cavalleresco sopravvisse, ma fu lentamente svuotato del suo
valore fino a ridursi, nelle corti rinascimentali, a pura esteriorità. Nel
1400-1500 con l’affermazione della civiltà umanistica e rinascimentale, la
figura del cavaliere si trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più
rappresentato come l’eroe per eccellenza, il depositario di tutte le virtù,
bensì come un uomo, con le debolezze, le
passioni tipiche degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette
la nuova realtà e mentalità del Rinascimento, attenta a valorizzare l’uomo e i
suoi sentimenti. In questo periodo inoltre la materia cavalleresca intende
soddisfare le esigenze di una società aristocratica di gusti ricercati, più facile
a entusiasmarsi per le narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di
guerra e di dedizione al dovere. Nelle
corti rinascimentali si continuavano ad ascoltare storie che avevano per
protagonisti i cavalieri; non più però per esaltarne gli alti ideali, ma per
divertire i nobili con il racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in
quell’epoca, in cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del
cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali a cui si ispirava. Gli scrittori del XV e del XVI secolo
capirono tale declino e lo descrissero nelle loro opere – che riprendevano i
racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come Ludovico Ariosto
nel suo Orlando Furioso; ora con
nostalgia, come Torquato Tasso nella Gerusalemme
Liberata; ora con ironia e nostalgia insieme, come lo spagnolo Miguel de
Cervantes nel suo Don Chisciotte.
Orlando, paladino di Francia, protagonista
dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, non è più
rappresentato come un valoroso difensore della fede, ma come un cavaliere che
lascia il campo cristiano di Carlo Magno e la difesa di Parigi, travolto dalla
passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del re del Catai.Nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, invece, il cavaliere
torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi, anche se tormentato
de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don
Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel
de Cervantes segna la definitiva scomparsa del cavaliere medioevale. Don
Chisciotte non è altro che una patetica figura di cavaliere che vive “da folle”
avventure appartenenti a un mondo ormai passato.
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