La
lingua italiana deriva dal latino volgare. Devi sapere, infatti, che la
lingua latina presentava anticamente due forme: una forma letteraria o scritta
(latino letterario), usata dai dotti e dalle persone di condizione più
elevata; e una forma volgare o parlata (latino regionale o volgare),
usata dal volgo, ossia dal popolo e dalle persone meno colte. Ai tempi del
suo massimo splendore Roma aveva unificato il suo immenso impero sia da un
punto di vista politico-giuridico che linguistico: in una parola aveva imposto
ai popoli conquistati le sue leggi e la sua lingua. Ma la lingua che i coloni e
i soldati romani trasferivano nelle nuove terre non era di certo il latino
letterario, bensì quello volgare, cosicché su tutto il territorio dell'impero,
se da un lato era noto il latino letterario, usato per le più alte necessità
della vita politica e culturale, dall'altro fioriva il latino volgare che
logicamente, a contatto con le lingue originali dei popoli conquistati, andò
subendo inevitabili trasformazioni o alterazioni.
La
lingua attuale deriva dall'evoluzione del latino parlato attraverso i tempi,
arricchito di termini introdotti anche da popoli invasori (Goti, Longobardi, Franchi, Arabi). Sono nate così le
lingue neolatine ( nuove dal latino)
o romanze (romanice loqui parlare romano). L'italiano è una delle lingue
neolatine o romanze così come il francese, lo spagnolo, il portoghese, il
rumeno. Quando l'Impero romano cadde (476 d.C.), anche la lingua latina si
suddivise in tante lingue diverse: in Italia cominciò a formarsi una nuova
parlata, detta volgare perché utilizzata dal popolo (vulgus), diversa
in ogni regione, mentre il latino rimase la lingua ufficiale delle persone
colte e dell'espressione letteraria e giuridica almeno fino al XIII secolo. I primi documenti di queste nuove lingue risalgono
all'IX e X secolo.
In
Italia, fin dal IX secolo, abbiamo
esempi di documenti scritti in una lingua che non è più latina, ma che ancora
in qualche modo ricorda le forme del latino.
Il
più antico documento in tal senso è il seguente indovinello conservato
nella Biblioteca Capitolare di Verona, che risale a un periodo collocabile tra
l’VIII e il IX secolo.
Se
pareba boves, Spingeva innanzi i buoi (= le dita) alba pratalia araba, arava bianchi prati (= la carta) albo
versorio teneba, teneva un bianco aratro (= la penna) negro semen
seminaba seminava nero seme. (= l'inchiostro)
Questo
«Indovinello Veronese» allusivo all'atto dello scrivere è una chiara
testimonianza di come la lingua latina stia per trasformarsi in lingua
volgare. Ad esempio, i verbi latini parebat,
arabat, tenebat, seminabat nella lingua volgare si sono trasformati in pareba,
araba, teneba, seminaba. Nel testo sono presenti termini latini e altri
volgari. I termini latini sono concentrati nelle ultime due righe. I termini
volgari sono: pareba, araba, teneba, seminaba,
in cui si è avuta la caduta della t finale; negro derivato
dal latino nigrum(nero), in cui si è avuta la caduta della desinenza -um;
albo derivato dal latino album (bianco) in cui si è
avuto un cambiamento di vocale.
Il
primo documento però in cui appare chiaramente la contrapposizione del
volgare al latino e quindi la differenza delle due lingue è il Placito
di Capua o Placito Cassinense
del 960. Si tratta di una sentenza giudiziaria relativa a una contesa sorta
per il possesso di alcune terre fra il monastero di Montecassino e un certo
Rodelgrimo di Aquino. Il giudice Archisi nel suo verbale, redatto come d'uso in
latino, riporta la formula pronunciata dai testimoni per confermare il
possesso trentennale di una delle due parti. Tale formula, trascritta nella
lingua parlata dai testimoni, ossia nella lingua volgare, è la seguente:
Sao
ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte
sancti Benedicti.
(So
che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, le possedette per
trent'anni la parte, ossia il monastero, di San Benedetto.)
Dall'esame
della frase è facile constatare che la lingua usata, seppur mantenga qualche
traccia di latino (infatti sao deriva da scio (so); fini da fines, possette da possedit;
sancti Benedicti, poi, è un genitivo latino; ko è volgare poiché in latino
la congiunzione che non esiste; kelle
è volgare, significa quelle -in latino si diceva illae- ), è
nettamente “volgare”. Siamo dunque in presenza del primo documento in
volgare italiano. I primi scritti in volgare nascono quindi da esigenze
pratiche (testi giuridici) o sono trascrizioni di testi popolari (scongiuri,
indovinelli, ecc.). tuttavia fino al XIII secolo il volgare rimane
sostanzialmente una lingua orale.