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domenica 30 settembre 2012

La Canzone dei Nibelunghi




Sull'esempio delle chanson de geste francesi, in area germanica viene composta la Canzone dei Nibelunghi, un poema in versi redatto nel Xlll secolo in volgare tedesco da un autore anonimo che riprende e orga­nizza antichi miti e leggende: nell'area nord europea queste narrazioni leggendarie di carattere epico basate su tradizioni popolari vengono det­te saghe.
L'opera è suddivisa in 39 canti costituiti da quartine (strofe di quattro versi] in rima baciata (AA BB] ed è ambientata nel v secolo d.C. nel ter­ritorio che costeggia il corso del fiume Reno. Essa è strutturata in due ampi nuclei narrativi, il primo dei quali ha come protagonista l'eroe Sig­frido e si conclude con la sua uccisione, mentre il secondo ruota intor­no alla moglie Crimilde e al suo progetto di vendicare la morte dell'amato.
La Canzone dei Nibelunghi ha una grande diffusione popolare, e grazie al ritrovamento di antichi manoscritti la sua fama cresce a partire dal XVlll secolo raggiungendo il suo apice nel Novecento, quando il compo­sitore Richard Wagner si ispira a essa per il suo ciclo di quattro dram­mi musicali intitolato L'anello del Nibelungo.
Protagonisti della Canzone dei Nibelunghi.
A differenza dei personaggi delle chanson de geste francesi, i protagonisti della Canzone dei Nibelunghi appaiono psicologicamente complessi e sono ca­ratterizzati da passioni violente e intense che spin­gono le loro azioni alle estreme conseguenze.
Brunilde è una delle valchirie di Odi­no, le fanciulle guerriere che affian­cano il re degli dèi. Regna in Islanda, è dotata di po­teri magici, è un'esperta guerriera e sottopone i suoi pretendenti a prove durissime. Quando scopre l'inganno di Sigfrido si vendica in modo terribile.
Crimilde è la sorella del re dei Burgundi Gunther. Sposa Sig­frido nonostante una profezia le abbia predetto la fine pre­matura dell'uomo e alla sua morte accetta le nozze con il re degli Unni Etzel (Attila). Inizialmente timida e gentile, dopo l'uc­cisione di Sigfrido è ani­mata da un violento spirito di vendetta.
 Gunther è re dei Burgundi e fratello di Crimilde. Ottiene la mano di Brunil­de grazie all'aiuto di Sigfrido a cui dà in sposa la sorella, ma tradisce l'an­tico compagno per sottrargli il tesoro dei Nibelunghi. È un uomo debole, insicuro e mol­to avido.
        Hagen vassallo di Gunther, si fa ri­velare da Crimilde il punto debole di Sigfrido e lo uccide a tradimento, poi seppellisce il tesoro dei Nibe­lunghi nel Reno per evitare che la donna lo usi per realizzare la sua ven­detta.
Sigfrido è un discendente del capo degli dèi Odino. Quando si immerge nel sangue del drago Fafnir diventa invulnerabile in tutto il corpo tranne che in un punto della schiena su cui si è po­sata una foglia. Aiuta Gunther a con­quistare Brunilde, sposa Crimilde e viene ucciso da Hagen. È giovane e bello e simboleg­gia il coraggio, la lealtà, la ge­nerosità e l'altruismo.
La trama
Sigfrido, figlio del re della regione del basso Reno, parte per impossessarsi dell'immenso tesoro dei Nibelunghi, una stirpe di nani che vive sotto ter­ra e conosce i segreti della fusione del ferro: nel corso del­la sua impresa Sigfrido sottrae al nano Alberico un cap­puccio magico che lo rende invisibile e gli dà la forza di dodici guerrieri, uccide il drago Fafnir e si bagna  nel suo sangue diventando quasi completamente invulnerabile, trannein un punto tra le scapole dove si è posata una foglia.. Conquistato il tesoro dei Nibelunghi, Sigfrido giunge alla corte dei Burgundi (stanziati lun­go il corso del fiume Reno), dove cerca di ottenere la mano di Crimilde, la sorella del re Gunther nota per la sua bellezza. Per raggiungere il suo scopo promette a Gun­ther di aiutarlo a conquistare la crudele regina d'Islanda Brunilde, che sottopone i suoi pretendenti a terribili prove di for­za e di coraggio.
Durante il torneo Sigfrido si rende invisi­bile e sconfigge Brunilde, costringendo­la a sposare Gunther che crede il vero vin­citore della sfida. Grazie alla sua impre­sa anche Sigfrido può sposare Crimilde e tornare con lei nella sua terra. Trascorsi dieci anni, le due coppie si ri­trovano, ma nel corso di una violenta lite Crimilde rivela a Brunilde l'inganno che si cela dietro le sue nozze, suscitando in lei un furioso spirito di vendetta. L'odio nei confronti di Sigfrido dilaga e coin­volge anche Gunther, che vuole elimina­re l'antico alleato per impadronirsi del suo tesoro; quando il vassallo Hagen scopre il suo punto debole Sigfrido viene ucciso e i due rubano il tesoro dei  Nibelunghi, na­scondendolo nel letto del fiume Reno. Rimasta vedova, Crimilde accetta di spo­sare il re degli unni Etzel (Attila) ma non riesce a vendicare la morte del primo marito; dodici anni dopo, in occasione della nascita del primoge­nito, invita i Burgundi alla sua corte e durante i festeggiamenti li fa ster­minare tutti.
Solo Hagen e Gunther vengono risparmiati e sono condotti da Crimilde che, dopo aver fatto decapitare il fratello, chiede ad Hagen di svelarle il luogo dove è nascosto il tesoro.
Al suo rifiuto, Crimilde decapita Hagen con la spada di Sigfrido, ma vie­ne uccisa a sua volta da Ildebrando, un maestro d'armi degli Unni indi­gnato dalla crudeltà della donna: la conclusione del poema realizza un'an­tica profezia secondo cui l'oro dei Nibelunghi è maledetto e procura mor­te e rovina a chi cerca di possederlo.

La storia
Nel poema gli elementi mitici e leggendari risalenti alla tradizione ger­manica e scandinava si intrecciano a un nucleo storico che viene riela­borato in modo fantasioso.
Nella prima metà del v secolo il popolo dei Burgundi conquista la riva si­nistra del Reno in precedenza controllata dai Romani e vi si insedia sta­bilmente. Qualche decennio dopo i Burgundi vengono attaccati e scon­fitti dagli Unni, una popolazione nomade e guerriera proveniente dall'Asia e guidata da Attila. I superstiti sono costretti a spostarsi verso ovest, nel territorio dell'attuale Francia che da loro prende il nome di Borgogna. Lo sterminio dei Burgundi durante i festeggiamenti alla corte degli Unni rappresenterebbe quindi in modo simbolico la fine dell'egemonia bur­gunda e l'affermarsi nel loro territorio di un nuovo popolo di domina­tori.
Nella Canzone dei Nibelunghi ritroviamo diversi temi tipici dei poemi ca­vallereschi, quali l'esaltazione del coraggio e della forza fisica e l'inter­vento di forze magiche e soprannaturali nelle vicende umane
Ma l’opera è un’epopea pagana che rappresenta un mondo feroce, crudele, spietato in cui i sentimenti dominanti sono: l’odio, l’invidia, il desiderio di potere e la sete di vendetta. E’ questo un valore cultu­rale specifico delle antiche popolazioni germaniche, lo spirito di ven­detta spinge Brunilde a far uccidere Sigfrido e Crimilde a provoca­re lo sterminio del suo stesso popolo.
La legge germanica prevede infatti che chi ritiene di essere stato dan­neggiato da qualcuno possa vendicarsi con un'azione personale, per co­stringere chi gli ha procurato il danno a espiare la propria colpa. Que­sto meccanismo si chiama faida e può coinvolgere due individui, ma an­che due clan (famiglie allargate) o addirittura due territori: per questo motivo le azioni compiute da Brunilde e Crimilde, che a noi paiono cru­deli ed eccessivamente violente, sono invece perfettamente coerenti con i valori e la cultura della società in cui esse vivono.
L’unico personaggio che non si macchia di delitti e viltà è Sigfrido che rappresenta il nobile e perfetto cavaliere, valoroso, generoso e leale, dotato di tutte le virtù tipiche del mondo cortese e cavalleresco del XIII secolo

Il Cantare del mio Cid: il più importante poema epico spagnolo.



Il poema del mio Cid  è il più importante poema epico spagnolo e, come  la Chanson de Roland, celebra la difesa della cristianità occidentale contro gli arabi invasori.
Ne è protagonista Rodrigo Diaz de Vivar, che è realmente vissuto e che è considerato un eroe nazionale per aver compiuto straordinarie imprese contro glia Arabi che occupavano la Spagna. Rodrigo Diaz conte di Bivar, meglio conosciuto con il nome di Cid  Campeador, nacque, intorno al 1040 d.C., a Bivar, un paesino vicino a Burgos nel regno di Castiglia. Proveniva da una famiglia della piccola nobiltà castigliana. Crebbe  alla corte del Re di Castiglia ed ebbe una buona educazione, come si addiceva ai figli della nobiltà. La leggenda vuole che al momento del suo battesimo un monaco gli regalasse il cavallo che poi lo accompagnò in tutte le sue avventure: il famoso Babieca.
Il nome El Cid Campeador gli venne attribuito più avanti. È composto da due parti: El Cid, nomignolo datogli dagli arabi e che significa "Il signore" in una lingua mista di spagnolo e arabo, Campeador, “il campione", invece, gli venne dato dagli spagnoli dopo le sue  vittorie. Questo soprannome, quindi, dimostra che il personaggio godeva del rispetto e dell'ammirazione sia tra gli spagnoli che tra gli arabi.
Come la Chanson de Roland è il poema della cristianità e delle gesta dei paladini in difesa della patria, questo è il poema della fedeltà assoluta al proprio re, che viene mantenuta nonostante le amarezze e le delusioni.
Il protagonista, Rodrigo Diaz de Bivar detto il Cid Campeador (signore del campo di battaglia), è un vassallo di re Alfonso VI di Castiglia che, all'età di quarant'anni circa, viene accusato ingiu­stamente di essersi appropriato di somme spettanti al re e viene esiliato dopo la confisca dei suoi beni. Il Cid incarna l'ideale del perfetto vassallo fedele e one­sto anche se umiliato. Messo al bando, compie imprese in nome del re, conquista castelli e territori e attira sempre nuovi seguaci. Si impadronisce della città di Valenza, creando un nuovo feudo cristiano, e a ogni nuova conquista invia doni al re chiedendone il perdono, che infine giunge. Il re stesso esorta Rodrigo Diaz a concedere la mano delle sue figlie a due principi eredi della grande casa feudale di Carriòn, che in realtà mirano soltanto alle ricchezze del Cid. Questi accontenta il re, anche se ritiene indegni i due futuri generi. Celebrato il matrimonio, i due infanti di Carriòn nel con­durre le spose nella propria terra le brutalizzano e le abbandona­no in un bosco, ritenendo disonorevole il matrimonio con le figlie di un esule. Ma il Cid si vendica chiedendo, di fronte all'assemblea dei grandi di Spagna, la restituzione del patri­monio consegnato ai generi. Il re concede giustizia e le figlie sposeranno in seguito i principi di Navarra e di Aragona e diventeranno regine.
Questa è la trama del poema. Le vicende sono storiche ma trasfigurate dalla fantasia popolare.
Anche di questo testo non si conosce con sicurezza l'autore; probabilmente si trattava di un cantore girovago vissuto nel XII secolo, cinquant’anni dopo la morte del Cid.
Tizona, la spada dell'eroe spagnolo è tuttora conservata a Madrid nel museo dell'esercito. Grande fama ha in Spagna anche il cavallo del Cid, Babieca, a cui sono stati dedicati monumenti e leggende.
Il Cantare del mio CId: il poema
Il poema del mio Cid è un poema epico formato da 3733 versi di un autore anonimo risalente al 1140, è considerato il primo documento letterario spagnolo perché scritto in antica lingua castigliana da cui deriva lo spagnolo moderno. Il manoscritto fu ritrovato soltanto alla fine del Settecento, privo delle prime pagine, recava la data del 1307 e il nome di Peter Abbat, un giullare o forse un copista.
Il poema narra fatti fondati sulla realtà storica, anche se ampiamente romanzati, e si compone di tre canzoni (cantares):la canzone dell’esilio (El cantar del destriero),la canzone delle nozze (El cantar de las bodas) e la canzone dell’oltraggio di Corpes (El cantar de la afrenta de corpes).
Nella prima parte Rodrigo Diaz (El Cid Campeador), vassallo del re, viene accusato da cortigiani maligni di essersi appropriato di una parte dei tributi dovuti dai mori ad Alfonso VI. Esiliato dal re,lascia la moglie Jimena e le figlie Elvira e Sol nel monastero di Gardena e vaga per la Spagna con un gruppo di amici fidati, compiendo imprese a danno dei mori fino alla riconquista di Valencia. Nella seconda parte le sue figlie vanno in spose agli infanti di Càrion, due uomini senza scrupoli, che, umiliati dal Cid durante una festa di corte, nella terza parte del poema, decidono di vendicarsi oltraggiando le loro spose e lasciandole in preda alle belve feroci. Le due donne vengono poi salvate da Felez Munoz nipote del Cid, il quale sfida i due infanti a duello e li uccide. Il poema si conclude con il Cid che riottiene le sue terre, mentre le figlie vanno in spose ad altri due infanti di più nobile carattere.
Il Cantare del mio CId: i temi fondamentali
Il Cantare del Cid celebra innanzi tutto le gesta eroiche dei combattenti della Reconquista.
Il poema permette, inoltre, di comprendere i valori morali, le virtù tipiche della società feudale di quel tempo come:
-         il senso dell’onore e della giustizia;
-         la fedeltà e la lealtà del cavaliere verso il proprio signore e il proprio sovrano;
-         la fede in Dio

martedì 24 luglio 2012

epica medioevale


L’epica cavalleresca
Dall’epica del mondo antico all’epica medioevale.
Dopo avere letto alcuni episodi dell’Iliade, dell’Odissea e dell’Eneide, i tre grandi poemi epici del mondo antico, greco e latino; avete imparato che per epica si intende la narrazione poetica delle imprese gloriose, straordinarie  di un popolo, dei suoi eroi, dei suoi dei. La poesia epica, però non si esaurì con i poemi di Omero e Virgilio.
 Nel periodo medioevale, infatti, e nei secoli successivi, ebbe una vasta diffusione, dando origine a un gran numero di poemi e romanzi in prosa.
Nell’alto medioevo, quando l’impero romano di Occidente è definitivamente tramontato, nascono nuovi regni in cui elementi culturali di origine romana si fondono con gli apporti delle diverse culture barbariche, preparando il terreno alla formazione delle future monarchie nazionali che determineranno poi le sorti dell’Europa moderna e contemporanea: queste profonde trasformazioni interessano l’economia, la società, il diritto e le tecniche militari.
Tra il VII e l’VIII secolo, ai confini dell’Europa si affacciano due popolazioni nuove, gli Arabi, che attraverso lo stretto di Gibilterra sbarcano in Spagna e minacciano il continente, e gli Avari, che muovendosi dall’Asia centrale verso occidente determinano lo spostamento verso l’Europa centrale di molti altri gruppi seminomadi, tra cui i Longobardi.
Pur essendo civiltà diversissime tra loro, Arabi e Avari sono accomunati dall’uso del cavallo negli scontri bellici e ciò costringe le popolazioni europee che entrano in conflitto con loro – in primo luogo i Franche – a trasformare il proprio modo di combattere per potersi opporre efficacemente agli invasori: negli scontri militari viene utilizzata massicciamente la cavalleria e dall’VIII secolo il cavaliere diviene la figura centrale di ogni azione militare.
Gli elementi che caratterizzano la civiltà medioevale fin dal suo nascere sono due: la fede e le armi. La fede da valore tanto alle gesta degli eroi, quanto alla vita quotidiana della gente; l’uso delle armi, invece, è la principale attività dei nobili cavalieri.
Dopo la caduta dell’Impero romano nascono i nuovi regni romano barbarici, il cui patrimonio di miti e leggende viene trasmesso in forma poetica utilizzando le lingue volgari, ossia le lingue locali che progressivamente sostituiscono il latino. Riprende così vigore in Europa la tradizione dei poemi epici, che ora celebrano la nascente società feudale e sono dominati dalla figura del cavaliere, un personaggio che agisce sulla spinta di alti ideali come la difesa dei deboli, delle donne e della fede cristiana.
È per questo motivo che nel medioevo si parla di epica cavalleresca, anche se i diversi poemi assumono di volta in volta caratteristiche specifiche in relazione alla realtà storica e culturale all’interno della quale vengono elaborati.
L’eroe dell’epica medioevale è il cavaliere “senza macchia e senza paura”, che combatte in difesa della fede cristiana, della patria, della giustizia. I poemi medioevali, anche se arricchiti di elementi fantastici, rispecchiano senz’altro la realtà sociale e culturale del tempo, centrata sul  cavaliere considerato un campione della fede e un difensore delle cristianità contro gli infedeli. Figura importante dei poemi  è quella del cavaliere errante per lo più figlio cadetto dei feudatari. Questi non possedendo un feudo proprio, si mette  a disposizione di un signore o del re: durante la cerimonia dell’investitura, presta giuramento di fedeltà promettendo di mettere le proprie armi al servizio della Chiesa e “di non usare mai la spada per ferire qualcuno ingiustamente, ma sempre per difendere causa nobili e giuste”. Difendere la fede cristiana da ogni nemico, difendere l’integrità e l’onore del proprio signore e della propria terra, soccorrere i poveri, gli orfani e le vedove: questi sono i compiti degli eroi del mondo medioevale.
I giullari, i cantastorie del tempo che si spostano da un luogo all’altro dell’Europa, diffondono le vicende di questi eroi. I loro semplici racconti – spesso in versi, in modo tale da poter essere cantati con l’accompagnamento di  strumenti musicali – si  arricchiscono man mano di nuove storie e avventure, attorno al nucleo centrale di alcuni temi ricorrenti: la guerra agli infedeli, l’abilità nelle armi, la fedeltà al re. A partire dal XII secolo, alcuni scrittori riuniscono e perfezionano questi racconti, componendo opere di grande valore artistico, umano e storico.
L’epica cavalleresca  medioevale.
Nell’Europa occidentale si sviluppano due filoni narrativi fondamentali: le Canzoni di Gesta e i Romanzi della Tavola Rotonda. Del primo filone fa parte, per esempio, la Chanson de Roland, che apre il cosiddetto ciclo carolingio ( una serie di poemi dedicati ai paladini di Carlo Magno ). Il secondo filone è costituito dai romanzi che narrano le avventura dei cavalieri di re Artù e viene chiamato anche ciclo bretone, dal nome della regione in cui si svolgono le vicende (la zona della Bretagna, che comprendeva l’odierna Inghilterra e il nord della Francia). Il ciclo carolingio si sviluppa contemporaneamente al ciclo bretone  ma, mentre il primo si diffonde in misura maggiore tra il popolo, il secondo trova il suo pubblico soprattutto nelle corti del nord della Francia. I romanzi di re Artù, infatti, sono più raffinati rispetto alle opere del ciclo carolingio: l’intreccio è più complesso e i temi non sono solo guerreschi, ma anche amorosi.
Il ciclo carolingio. Tra le tante guerre che Carlo Magno, re dei Franchi, combatté e vinse in Europa contro Bavari, Frisoni, Slavi, Avari, Bretoni e Longobardi, quelle contro gli arabi – che nel 771 avevano occupato quasi tutta la Spagna  costituendo una minaccia per l’Europa cristiana ­– non sono ricordate nella storia come le più gloriose: Carlo Magno, infatti, nelle sue spedizioni riuscì a strappare agli Arabi soltanto un piccolo territorio al di là dei Pirenei.
Nella letteratura, invece, furono proprio queste guerre del re cristiano contro i musulmani (chiamati anche saraceni o mori)  che riempirono le pagine di biblioteche intere ed ebbero enorme fortuna popolare, soprattutto in Spagna e in Italia.  Le imprese attribuite al re dei Franchi e ai suoi paladini ( i dodici cavalieri che formavano la guardia del corpo del re) cominciarono ad essere scritte – in prosa e in versi – alcuni secoli dopo che si erano svolte, quando in Europa furono organizzate le crociate per liberare Gerusalemme e la Palestina, occupate dai Turchi musulmani. Il racconto delle guerre, combattete e vinte dal re cristiano contro i musulmani di Spagna, accendeva gli animi, mentre i crociati, come i gloriosi paladini di un tempo, si preparavano a partire per andare a liberare il Santo Sepolcro dai Turchi.
Con l’andar del tempo si spense l’entusiasmo per le guerre sante e non furono più organizzate crociate, ma i duelli e le battaglie tra cavalieri cristiani e musulmani continuarono ad essere scritti e raccontati  come esempio di ogni contesa e di ogni avventura. Predominante, infatti, per tutta l’epoca medioevale rimane la figura del cavaliere impegnato a combattere in difesa della fede.
Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda.   Le storie di questo ciclo narrano ancora di cavalieri solitari, i cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù, sempre in viaggio alla ricerca di avventure e amori, mossi da sentimenti di lealtà, di devozione, di cortesia.
La crisi della cavalleria.
 Dopo il periodo medievale, l’ideale cavalleresco sopravvisse, ma fu lentamente svuotato del suo valore fino a ridursi, nelle corti rinascimentali, a pura esteriorità. Nel 1400-1500 con l’affermazione della civiltà umanistica e rinascimentale, la figura del cavaliere si trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più rappresentato come l’eroe per eccellenza, il depositario di tutte le virtù, bensì come un uomo, con le  debolezze, le passioni tipiche degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette la nuova realtà e mentalità del Rinascimento, attenta a valorizzare l’uomo e i suoi sentimenti. In questo periodo inoltre la materia cavalleresca intende soddisfare le esigenze di una società aristocratica di gusti ricercati, più facile a entusiasmarsi per le narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di guerra e di dedizione al dovere.  Nelle corti rinascimentali si continuavano ad ascoltare storie che avevano per protagonisti i cavalieri; non più però per esaltarne gli alti ideali, ma per divertire i nobili con il racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in quell’epoca, in cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali a cui si ispirava.  Gli scrittori del XV e del XVI secolo capirono tale declino e lo descrissero nelle loro opere – che riprendevano i racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso; ora con nostalgia, come Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata; ora con ironia e nostalgia insieme, come lo spagnolo Miguel de Cervantes nel suo Don Chisciotte.
Orlando, paladino di Francia, protagonista dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, non è più rappresentato come un valoroso difensore della fede, ma come un cavaliere che lascia il campo cristiano di Carlo Magno e la difesa di Parigi, travolto dalla passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del re del Catai.Nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, invece, il cavaliere torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi, anche se tormentato de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel de Cervantes segna la definitiva scomparsa del cavaliere medioevale. Don Chisciotte non è altro che una patetica figura di cavaliere che vive “da folle” avventure appartenenti a un mondo ormai passato.