lunedì 19 marzo 2012

Il riassunto



Riassumere significa esporre brevemente e con parole proprie il contenuto essenziale di una narrazione più ampia e particolareggiata.
Il riassunto ha due funzioni, una per chi lo fa e una per chi lo legge.
L’arte del riassumere è importante e utilissima e la si impara mettendole in atto.
Fare riassunti serve a condensare le idee, in altre parole insegna a scrivere.
Le domande fondamentali:
     CHI? (i personaggi)
DOVE? (il luogo)
PERCHE’? (il motivo)
CHE COSA? (il fatto)
QUANDO? (il tempo)
Scheda guida per fare il riassunto:
Leggere attentamente il racconto e capirne bene il significato generale cercando sul vocabolario il significato di eventuali parole difficili o sconosciute.

Dividere il racconto in parti o sequenze per capire la successione logica dei fatti.

Individuare  i fatti principali, eliminando quelle informazioni (anche intere sequenze) che non sono indispensabili per lo svolgimento del racconto, ma che servono semplicemente ad arricchirlo. 
Esporre   con parole proprie, in forma sintetica e con periodi semplici e scorrevoli, il contenuto essenziale del racconto, usando un linguaggio referenziale, che si limiti cioè a riferire i fatti così come sono, senza alcuna considerazione personale.
In quest’ultima operazione vi sono delle precise regole da osservare:
-         trasformare il discorso diretto in discorso indiretto facendo attenzione al cambiamento di persona (da 1° a 3°) al verbo ai pronomi personali, agli aggettivi e pronomi possessivi;
-         scegliere il tempo verbale da usare nelle proposizioni principali e mantenerlo nello svolgimento del riassunto.

Come analizzare un racconto


   

Il racconto è costituito da una trama, cioè l’ossatura fondamentale della storia che si sviluppa nelle sequenze. La sequenza  è una parte di racconto che rivela unità di tempo, luogo, azione, contenuto.
Le sequenze: narrano, descrivono, esprimono giudizi o riflessioni dei personaggi, esprimono giudizi e riflessioni dell’autore.
Per individuare il passaggio da una sequenza all’altra esistono dei segnali indicatori:
a)      introduzione o nascita di un personaggio;
b)      cambiamento di luogo;
c)      cambiamento di tempo;
d)      cambiamento di modalità del testo: passaggio dalla narrazione alla descrizione, al dialogo.
Tra una sequenza e l’altra ci deve essere una differenza di contenuto (a,b,c) o di forma (d).
Il racconto si sviluppa attorno ai personaggi.   I personaggi possono essere analizzati secondo:
-         aspetto;
-         comportamento;
-          sentimenti, carattere.
In base al ruolo che i personaggi hanno nella storia si possono cogliere le relazioni, cioè i rapporti che hanno tra loro. Si possono individuare:
a)      relazioni positive: amore, collaborazione;
b)      relazioni conflittuali: scontro, contrapposizione;
c)      relazioni di indifferenza: i personaggi agiscono vicini senza avere relazioni.
Il racconto può essere narrato:
-         dal protagonista;
-         da un personaggio marginale;
-         da un narratore esterno che sembra sapere e vedere ogni fatto, ogni evento.
Per analizzare un racconto si devono cogliere:
a)      le caratteristiche dei luoghi;
b)      la dimensione temporale come successione o durata.
I personaggi sono l’elemento fondamentale del racconto, oltre i personaggi possono avere un ruolo importante: oggetti, animali, elementi del paesaggio. Oltre le relazioni tra personaggi è importante cogliere l’evoluzione psicologica e le trasformazioni interiori.
I luoghi.  Per analizzare i luoghi occorre (oltre all’individuazione):
-         distinguere se reali o immaginari;
-         enucleare ciò che li caratterizza;
-         riflettere sulle modalità di presentazione:
1.      esauriente e dettagliata;
2.      con annotazioni esplicite riportate dall’autore;
3.      senza nessuna informazione diretta per cui i luoghi vanno dedotti.
-         esaminare il ruolo della descrizione che può:
1.      introdurre le vicende;
2.      interrompere la successione degli eventi;
3.      riflettere e rispecchiare la psicologia dei personaggi.
I tempi. L’analisi dei tempi di una storia riguarda:
-         l’ordine degli avvenimenti narrati che può:
1.      essere cronologico, seguire la successione temporale reale;
2.      anticipare fatti futuri;
3.      ricordare eventi passati.
-         la durata degli avvenimenti. Per esaminare la durata degli avvenimenti occorre riflettere sul rapporto tra tempo del discorso e tempo della storia. Il tempo della storia è il tempo della durata reale degli avvenimenti, il tempo del discorso è il tempo della narrazione. Si possono verificare tre tipi di rapporto tra i due diversi tempi:
1.      il tempo del discorso è più breve di quello della storia, narratore che riassume;
2.      il tempo del discorso è uguale a quello della storia, dialoghi;
3.      il tempo del discorso è più lungo di quello della storia, il narratore sospende il racconto per lunghe riflessioni o descrizioni.

Il Mito




Come favola e fiaba si collega alla sfera dell’immaginario.
 Il mito racchiude le credenze, le convinzioni religiose, i valori morali di un popolo.
 Il mito è un racconto fantastico di tipo speciale perché ha un contenuto immaginario ma nasce da una necessità, quella degli uomini di conoscere alcuni aspetti della realtà le cui origini erano avvolte nel mistero.
 L’uomo si pone i primi perché e risponde con la fantasia.
A noi i miti servono perché ci danno informazioni sulla cultura dei popoli antichi (fonti storiche) e sulla loro mentalità, i miti hanno un carattere religioso.
Spesso i miti di popoli diversi si somigliano perché hanno elaborato spiegazioni simili.
I personaggi dei miti sono divinità o creature fantastiche (draghi, mostri), individui (eroi che sono a metà tra uomini e dei) con doti straordinarie, spesso sono figli di divinità. Di solito sono ben definiti. Anche gli elementi naturali alcune volte sono personificati.
Il tempo è molto remoto, alle origini dell’uomo ma indeterminato
Il luogo è generico e indeterminato, fantastico e immaginario
Le vicende riflettono le usanze dalla civiltà che ha scritto il mito
Il linguaggio è semplice perché prima erano orali.
La mitologia ha esercitato una forte influenza sulla civiltà occidentale.
Nel linguaggio moderno quando si parla di mito si intende una cosa diversa

LE ORIGINI DELLA FIABA


La parola fiaba (dal latino fabula) significa narrazione e ci riporta a storie di origine antichissima e misteriosa. Le fiabe, che a prima vista possono sembra­re racconti semplici e quasi infantili, in realtà tramandano un patrimonio di saggezza e di conoscenze comuni a popoli anche lontani fra loro e profonda­mente diversi. Questi racconti meravigliosi sarebbero quindi l'espressione di una cultura che accomuna popoli anche molto diversi tra loro, quasi che la fantasia e i desideri dell'uomo si esprimano in maniera «simile» in ogni luogo e in ogni tempo. Forse proprio per queste somiglianze, le fiabe, anche di epoche e culture lontane da noi, con­tinuano ad affascinarci e a sorprenderci.
Gli studiosi hanno cercato di capire quale origine possano avere le fiabe, a quale esigenza, comune a tutti gli uomini, esse rispondano.   Una teoria particolarmente affascinante è quella elaborata dallo studioso russo Vladimir PROPP (1895-1970) che ha individuato un legame tra la fiaba ed i riti di passaggio delle società primitive di cacciatori.  In età preistorica questi riti simboleggiavano il passaggio dall'infanzia all'età adulta attraverso il superamento di alcune prove, proprio come accade ai protagonisti delle fiabe. Consideriamo ad esempio la par­tenza dell'eroe con cui solitamente iniziano le fiabe. Secondo Propp, questa funzione corrisponde pres­so i popoli primitivi allontanamento dei giovani dalla tribù durante il ri­to dell'iniziazione. Che cos'è l'iniziazione? È uno dei momenti più importanti all'inter­no della vita delle tribù primitive e ancor oggi si svolge presso alcune tribù isolate del continente africa­no e sud-americano. Il rito si celebra al sopraggiungere dell'adolescenza. Con esso i giova­ni di sesso maschile vengono intro­dotti nella comunità, di cui diven­gono membri effettivi; da quel mo­mento in poi possono anche sposarsi. Durante un periodo più o meno lungo i giovani vengono allontana­ti dai genitori e devono dimostrare di poter cavarsela da soli all'inter­no della foresta, saper fuggire i pe­ricoli ed essere in grado di soddi­sfare i propri bisogni. Questo allon­tanamento, presso alcune popolazioni, prende la forma simbolica di un «rapimento» ad opera dello stre­gone del villaggio, travestito da ser­pente. Al momento della partenza il giovane viene accompagnato dai consigli degli anziani oppure da di­vieti particolari. Al giovane che sta per diventare un vero uomo vengono affidati dei com­piti, che servono a dimostrare il suo coraggio agli occhi della tribù. Il giovane, prima di entrare nella foresta, invoca gli spiriti che la abi­tano e porta con sé piccoli amuleti o totem, che raffigurano solitamente degli animali i quali hanno la fun­zione di proteggerlo durante la sua impresa. Durante l'iniziazione si ritiene che il fanciullo muoia alla vita «vecchia» per rinascere come uomo nuovo. Subisce insomma la «morte tem­poranea» che viene simboleggiata attraverso un seppellimento o ad­dirittura delle mutilazioni, come il taglio di un dito. I riti, celebrati nel folto della foresta, erano circondati dal più fitto mistero.  Spesso ai ragazzi, condotti singolarmente in un luogo rituale, (al centro della foresta c'è di solito una capanna, la grande casa dove si svolgono i riti di iniziazione: per en­trarvi bisogna conoscere una for­mula, uno scongiuro, oppure com­piere sacrifici e gesti particolari; la capanna e la foresta sono i sim­boli del regno dell'oltretomba e chi vi abita, lo stregone, ne è il custode) venivano presentate situazioni pericolose o che incutevano paura; esperti stregoni somministravano loro sostanze speciali, con l'aiuto delle quali gli iniziati vive­vano esperienze di conoscenza di sé, dei propri limiti, delle proprie effettive capacità nella resistenza al dolore. Dopo il superamento delle prove, in cui aveva dimo­strato coraggio, tenacia e capacità di sopravvivere da solo, il ragazzo tornava al villaggio «trasformato»: era diventato adulto e aveva il diritto di sposarsi. Il rito spiega dunque come comportarsi, in che cosa credere, come chiedere l'aiuto di un'entità misteriosa o divina. Superando le prove del rito, il giovane viene ac­colto nella comunità e incomincia a partecipare attivamente alla vita sociale del villaggio e della tribù. Anche nelle fiabe classiche il bosco è di solito un luogo misterioso e pieno di pericoli, l'eroe deve superare difficili prove e spesso subisce una trasforma­zione che gli consente di sposare la giovane per cui ha lottato. Con il mutamento della società e delle abitudini di vita, questi riti non vennero più celebrati, ma ne restarono il ricordo e la narrazione. Sarebbe proprio questa, secondo Propp, la radice antichissima non solo delle più antiche forme di teatro, ma anche dei miti e delle fiabe stesse.
Un altro studioso, Bruno BETTELHEIM (1903-1992), uno psichiatra austriaco vissuto negli Stati Uniti, ha individuato nel mondo delle fiabe uno specchio delle difficoltà psicologiche che ogni essere umano deve affrontare per cre­scere, diventare se stesso, affrontare problemi e dolori. Le fiabe ci comunicano, dice Bettelheim, «che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte dell'esistenza umana e che soltanto chi non si ritrae intimorito, ma affronta risolutamente difficoltà inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine riuscire vittorioso. Le fiabe ci pongono di fronte ai principali problemi umani.» 
Questo spiegherebbe anche il fascino e l'attrazione che le fiabe esercitano sui bambini di tutto il mondo.   Nelle fiabe essi vedono raffigurati fantasticamente i loro problemi, le paure, la difficoltà di diventare grandi. 
LE FUNZIONI DI PROPP
Vladimir Propp,  ha confron­tato molte fiabe e ha scoperto che in tutte è presente un numero limita­to di motivi o temi fissi. Sussistono cioè personaggi o situazioni che esercitano nel racconto funzioni precise. Queste sono l'impalcatura, la struttura di fondo su cui viene poi costruita tutta la storia e inoltre si susseguono in modo quasi sempre identico all'interno di fiabe anche molto di­verse. Non in ogni fiaba, comunque, sono presenti tutte le funzio­ni: talvolta ne compaiono solo alcune.
 Cominciamo dai personaggi-tipo: Propp ne ha identificati sette.
1. L'eroe: il protagonista della fiaba.  2. Il falso-eroe: il personaggio che si sostituisce all'eroe per ottene­re favori o riconoscimenti immediati. 3. L'antagonista: il nemico del protagonista, il «cattivo» che osta­cola l'eroe. 4. Il donatore: il personaggio che fornisce all'eroe i mezzi magici per vincere l'antagonista. 5. L'aiutante: il personaggio che aiuta l'eroe in diverse circostanze. 6. Il mandante: il personaggio che manda l'eroe alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. 7. Il ricercato: il personaggio che deve essere raggiunto, liberato, salvato.
Questi personaggi tipo non sono necessariamente tutti presenti in ogni fiaba, ma soprattutto i più importanti, come l'eroe, l'antago­nista o il ricercato, possono essere ritrovati in moltissimi racconti.
Ecco ora uno schema delle situazioni ricorrenti (funzioni) identifi­cate da Propp.
1.Allontanamento (uno dei mEmbri della famiglia si allontana, oppure muore). 2. Divieto (si proibisce qualcosa all'eroe oppure gli si impone un ordine). 3. Infrazione (la proibizione viene infranta). 4. Investigazione (l'antagonista cerca di scoprire qualcosa o cerca informazioni sull'eroe). 5. Delazione (l'antagonista svela un segreto).     6. Tranello (l'antagonista cerca di ingannare l'eroe).
7. Connivenza-complicità (l'eroe cade nell'inganno e favorisce in­volontariamente l'antagonista). 8.Danneggiamento(l'antagonista provoca una sciagura o un danno a uno dei membri della famiglia; manca qualcosa  o viene il desiderio di qualcosa). 9. Mediazione (la sciagura o la mancanza sono rese note; all'eroe viene imposto un compito difficile; ci si rivolge a lui con una pre­ghiera o un ordine, lo si invia in qualche luogo). 10. Consenso dell'eroe. 11. Partenza dell'eroe. 12. Prova a cui è sottoposto l'eroe. 13. Reazione dell'eroe. 14. Fornitura del mezzo magico. 15. Trasferimento dell'eroe. 16. Lotta tra eroe e antagonista. 17. Marchiatura (l'eroe viene marchiato o reso riconoscibile con un segno sul corpo). 18. Vittoria sull'antagonista. 19. Rimozione della sciagura o mancanza iniziale.   20. Ritorno dell'eroe.  21. Persecuzione dell'eroe.     22. Salvataggio dell'eroe.
23. Arrivo in incognito a casa dell'eroe. 24. Pretese infondate del falso eroe. 25. Compito difficile imposto all'eroe. 26. Adempimento del compito. 27. Riconoscimento dell'eroe. 28. Smasche-ramento del falso eroe o dell'antagonista. 29. Trasfigurazione dell'eroe (l'eroe appare trasformato).
30. Punizione dell'antagonista. 31. Nozze dell'eroe o lieto fine.
          IL TEMPO E LO SPAZIO
| Una caratteristica costante della fiaba è la mancanza di indicazioni precise in relazione al tempo e allo spazio. Il tempo, infatti, in cui si svolgono le vicende è sempre indefinito, im­precisato.
Le formule consuete «C'era una volta...», «Tanti, tanti anni fa...», «Nei I tempi antichi...», «Una volta.;.», che rimandano a un passato lontano, vago, indeterminato, rendono ancor più misteriose e fantastiche le  vicende narrate e consentono al lettore di proiettarsi in un «tempo che non ha tempo» e di dare largo spazio alla propria immaginazione. La durata stessa delle vicende è spesso generica: potrebbero durare poche ore, come tanti giorni o tanti anni. Anche i luoghi delle fiabe sono generalmente presentati con povertà descrittiva, anch'essi risultano indeterminati, perché ciò che più inte­ressa nella fiaba sono le vicende e i personaggi. Questa indeterminatezza, imprecisione, indefinitezza contribuisce a creare un'atmosfera misteriosa, magica, fantastica.

IL LINGUAGGIO

Il linguaggio della fiaba è caratterizzato dalla presenza di:
• espressioni tipiche del linguaggio orale, quotidiano, informale.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le fiabe erano racconti tra­smessi oralmente da una generazione all'altra.
• formule fisse iniziali e finali. (Ad esempio: «C'era una volta...», «... e vissero felici e contenti»)
• elementi ricorrenti che si ripetono sempre uguali, facili da tenere a memoria. (Ad esempio: formule magiche, filastrocche senza senso...)
• dialoghi frequenti che vivacizzano la narrazione.
• utilizzo di voci verbali coniugate al modo indicativo e al tempo imperfetto (usato più frequentemente in quanto è quello che esprime meglio l'idea di una azione passata, ma indefinita, non del tutto compiuta) passato remoto   (usato soprattutto per indicare azioni passate ac­cadute in momenti ben precisi) presente   (usato nei dialoghi).

     FIABE DELLA TRADIZIONE E FIABE D’AUTORE
 I primi scrittori-raccoglitori risalgono al Seicento.
• In Italia Giambattista BASILE (1575-1632) scrisse in dialetto napoletano cinquanta fiabe tradizionali nel suo Lo cunto de li cunti o Pentamerone.
• In Francia, sempre nel 1600, Charles PERRAULT (1628-1703) interpretò fiabe già esistenti scrivendo I racconti di Mamma l'Oca, tra cui sono famose: Cappuccetto rosso, II gatto con gli stivali, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco.
• Un secolo dopo, nel 1700, si diffusero in Europa le famose fiabe de Le mille e una notte, una raccolta provenien­te dal mondo arabo, di cui conoscerai la storia di Aladino e quella di Ali Babà e i quaranta ladroni.
• Solo nel 1800, però, vi fu una diffusione straordi­naria dell'interesse per la fiaba e per la cultura popolare: fiorirono così raccolte di fiabe tradizionali in moltissimi Paesi.
• In Germania i più famosi scrittori di fiabe sono, stati Clemens BRENTANO (1778-1842) e i fratelli GRIMM, Jakob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859), che raccolsero un gran numero di fiabe della tradi­zione tedesca, tra cui  Hansel e Gretel, Pollicino o Raperonzolo.
• In Italia, Giuseppe  PITRÉ (1841-1916) studiò e raccolse le fiabe della Sicilia.
• Ai giorni nostri Italo CALVINO (1923-1985) ha racchiuso nel libro Fiabe italiane, del 1956,il suo paziente lavoro di ricerca e trascrizione delle fiabe scritte nei vari dialetti regionali del nostro Paese.
Molti scrittori si sono cimentati con il genere «fiaba», creando storie che naturalmente si ispirava­no alla tradizione, ma che avevano trame originali e personaggi inventati. Tra i più importanti ricordiamo il danese Hans Christian ANDERSEN (1805-1875), autore tra l'altro di II brutto anatroccolo, I cigni selvatici, La principessa, sul pisello; il siciliano Luigi CAPUANA (1839-1915); la to­scana Emma FE­RODI (1850-1918); l'irlandese Oscar WILDE (1854-1900).

ORIGINI E INSEGNAMENTI DELLA FAVOLA



Come è nata la favola?Come per tanti altri generi letterari, non sappiamo esattamente come e perché sia nata la favola. Forse Esopo, primo scrittore di favo­le, voleva insegnare le virtù ai bambi­ni, e pensò di interessarli con storie che avessero come protagonisti degli animali. Questi, infatti, sono molto spesso i beniamini dei più piccoli e so­no figure simpatiche e divertenti. Nell'antica Grecia, comunque, le fa­vole venivano usate nelle scuole per insegnare ai giovani la morale. Circa sei secoli dopo, l'altro grande scrittore di favole, il latino Fedro, ne spiegò la nascita in un modo molto interessante. Ecco la sua ipotesi.
 «Ora dirò brevemente come sia nato il genere della favola: gente sottomes­sa e schiava, non osando dire quello che avrebbe voluto, trasformò i suoi pensieri in favolette.      Fingendo di scherzare, evitò la con­danna. Io poi trasformai questo truc­co in un'arte... E se qualcuno, sospettoso, erronea­mente riferirà a sé quel che io dirò in generale, stolto, farà capire d'essere colpevole. Vorrei però ugualmente scusarmi con lui: non ho intenzione di indicare sin­gole persone ma mostrare la vita com'è e i comportamenti umani».
Quindi gli scrittori di favole, secondo Fedro, erano uomini senza potere (schiavi o poveri) che, per paura di es­sere puniti, rappresentavano sotto for­ma di animali le persone potenti, di cui volevano denunciare i vizi e le mal­vagità. In questo modo la critica di­ventava più nascosta. Nello stesso tem­po era possibile per chiunque ricono­scere i personaggi che si celavano dietro agli animali: le favole, infatti, utilizzavano un linguaggio semplice e universale.                 
Le favole hanno sempre un lieto fine?
Come abbiamo visto, le favole esalta­no le virtù e condannano i vizi, anche se non è detto che per i personaggi (gli animali) buoni e generosi ci sia sem­pre un lieto fine. Le favole rispecchiano si­tuazioni reali e, come accade nella realtà, non sempre hanno un lieto fi­ne. Bisogna leggerle con attenzione per comprendere l'insegnamento che contengono: l'aggressività, l'ingrati­tudine, la prepotenza, possono anche, in alcuni casi, prevalere sui buoni senti­menti, ma non vengono mai propo­ste come modelli da imitare.

AUTORI DI FAVOLE

La favola come genere letterario nacque in Oriente, probabilmente in Mesopotamia, dove se ne sono trovati esempi in testi numerici dell’inizio del secondo millennio a.C. e in testi assiro-babilonesi; ed è proprio a questi testi che si suppone si siano rifatti i primi favolisti greci.

La favola assunse, poi, i suoi caratteri tipici intorno al VI secolo a.C. con il greco Esopo, dal quale successivamente trasse spunto la favolistica latina grazie ad autori quali Fedro, Ennio,Lucilio e Orazio.

Nei secoli successivi si ebbero altre raccolte di favole ma solo nel Medio Evo la tradizione favolistica ebbe grande fortuna. Fu nuovamente trascurata nel Quattrocento per essere poi ripresa da Leopardo e,  nel Cinquecento, da autori quali il Firenzuola e l’Ariosto mentre nel Seicento fu più apprezzata in Francia che altrove, grazie anche all’opera di Jean de La Fontane.

Jean de La Fontaine nacque in Francia nel 1621. Di origini bor­ghesi, conquistò la benevolenza dei nobili parigini come autore di commedie, poemi e racconti. La sua grande fama è dovuta so­prattutto alle Favole, attraverso cui rappresentò i vizi degli uomini in generale e i capricci degli aristo­cratici in particolare. La sua opera letteraria fu tanto apprezzata che nel 1683 fu elet­to membro dell'Accademia Fran­cese (un’importante istituzione, sorta, nel l634; e ancora esisten­te, della quale fanno parte i mag­giori letterati francesi, sempre in numero di quaranta). Morì nel 1695.

Il genere della favola fu molto utilizzato nel Settecento, per i suoi intenti educativi, mentre ebbe meno fortuna nell’Ottocento romantico che le preferì la fiaba per il senso di misterioso e fantastico. Di questo periodo bisogna ricordare Tolstoj. Lev Tolstoj era nato nel 1828 a Jasnaja Poljana in Russia, dal matrimonio tra un conte e una principes­sa, rimase orfano a soli nove anni. Insieme con altri cinque fratelli, ere­ditò vasti possedimenti terrieri, dove lavorava­no in condizioni di se­mi-schiavitù moltissimi contadini. Dopo alcuni anni passati nell'eserci­to, abbandonò la car­riera militare e ritornò alle sue terre, dove offrì la libertà ai contadini. Questi, però, sospettan­do che si trattasse di un  tranello, rifiutarono l'offerta. Tolstoj, invece, era sinceramente preoccupato di migliorare le condizioni di vita dei più poveri. Così, dopo lunghi viaggi in Europa, tornò a Jasnaja Poljana e, nel 1859, aprì una scuola per i figli dei contadini.In questa scuola Tolstoj non voleva solamente insegnare a leggere e a scrivere, ma anche impartire un'educazione morale ai gio­vani. A questo scopo egli, già au­tore di grandi romanzi come i fa­mosi Guerra e Pace e Anna Karenina, scrisse anche numerose favole che servivano all'educazione dei suoi allievi. La scuola di Jasnaja Polja­na divenne un centro di fama in­ternazionale, dove si recavano da tutto il mondo scrittori, scienzia­ti, giovani e uomini comuni inte­ressati a conoscere il metodo edu­cativo del grande scrittore russo. Tolstoj trascorse gli ultimi anni della sua vita peregrinando per la Russia in cerca della serenità e del­la pace interiore. Il 7 novembre del 1910 morì povero e lontano da casa. Il suo funerale vide una grande e commossa partecipa­zione popolare.

Nel nostro secolo, infine, la favola è stata rivalutata da scrittori moderni quali Trilussa, Pratesi, Moravia, Malerba, Rodari e tanti altri che, pur rifacendosi alle favole tradizionali, hanno rivestito le loro narrazioni di attualità, ispirandosi agli aspetti e ai problemi della società attuale. Le favole moderne presentano in genere un intreccio più complesso di quello delle favole tradizionali, un testo più lungo, una maggiore ricchezza di personaggi; non più soltanto animali o piante, ma anche esseri umani e, infine, la mancanza per lo più della finalità didascalica 


L’EPICA CLASSICA


Epica (dal termine greco epos: parola, discorso, racconto) è la nar­razione poetica delle imprese gloriose, straordinarie di un popolo, dei suoi eroi, dei suoi dei.
Tutti i popoli antichi hanno sentito l'esigenza di tramandare ai posteri le memorie del proprio passato riguardanti le vicende della patria e le gesta gloriose degli eroi locali. Ogni civiltà, soprattutto all’inizio della sua storia, produce opere epiche, perché i popoli amano celebrare il proprio passato, legandolo a fatti o imprese memorabili, per esaltare l’importanza e la dignità della propria origine. Per questo la realtà dei fatti viene spesso trasformata dalla fantasia dei poeti e arricchita con elementi tratti dal mito
Questi canti di tipo epico, pur presentando una realtà spesso trasfi­gurata, idealizzata dalla fantasia poetica e popolare, rappresentano un vero e proprio «fatto culturale» in quanto rispecchiano gli ideali e i valori (religiosi, morali, civili, sociali, politici) dell'intero gruppo so­ciale o del popolo cui appartengono.
I canti celebrativi nei tempi antichi venivano trasmessi oralmente di generazione in generazione da poetì-cantori, detti «aèdi» o «rapsodi», che nelle corti, nelle piazze, nei villaggi e nelle città recitavano le loro composizioni accompagnandosi con strumenti musicali quali la cetra o la lira. Solo più tardi questi canti, che costituirono l'antichissi­ma tradizione epica popolare, si unificarono, per opera di grandi poeti, in veri e propri poemi come nel caso dell'Iliade e dell'Odissea, attribuiti a Omero.
Quando parliamo di «epica classica» ci riferiamo ai poemi epici del mondo classico, cioè greco e latino.
Gli aspetti essenziali di un poe­ma classico sono:
·         il carattere celebrativo della poesia: in tali poemi vengono infatti celebrate le imprese gloriose di eroi, esseri eccezionali di origine umana o divina o semidivina;
·         la presenza di tre parti fondamentali:
-           il proemio, ossia una premessa al racconto vero e proprio, conte­nente l'invocazione alla Musa ispiratrice e l'esposizione sintetica dell'argomento che verrà trattato nell'opera
-          lo svolgimento o narrazione dei fatti
-           la catarsi che si riferisce alla conclusione della vicenda
·         la presenza di un protagonista, ossia di un personaggio principa­le, dalle caratteristiche fisiche e morali ben delineate, che si distin­gue da tutti gli altri per la grandiosità delle sue azioni e dei suoi comportamenti. E il caso di Achille nell'Iliade di Ulisse nell'Odissea, di Enea nell'Eneide;
·          la presenza di un antagonista, ossia di un avversario, un perso­naggio di ostacolo, contro il quale il protagonista deve inevitabil­mente scontrarsi per affermare la propria superiorità e quindi cele­brare il proprio trionfo. Così Achille dovrà combattere contro Etto­re, Ulisse contro i Proci, Enea contro Turno; 
·          la presenza degli dei che giocano un ruolo determinante nelle vi­cende. Dominati da sentimenti e passioni umane, ora aiutano gli eroi, ora li ostacolano; ora impediscono che certi avvenimenti ac­cadano, ora invece ne favoriscono il compimento. 
 
L'epica greca
I più antichi capolavori epici della tradizio­ne greca e mediterranea sono l’Iliade e l'Odissea, due poemi (lunghi racconti in versi) che trattano vicende avvenute durante la guerra tra Greci e Troiani (XII sec. a. C.). L'Iliade racconta gli ultimi giorni della guerra che ha portato alla distruzione di Ilio (nome greco della città di Troia, nell'o­dierna Turchia); l'Odissea narra le peripe­zie dell'eroe greco Odissee (Ulisse), mentre ritorna alla sua patria, Itaca, dopo quel­la guerra. L’Iliade rappresenta l’ideale dell’azione, dell’entusiasmo guerriero, dell’accettazione della volontà divina; celebra il momento di massima espansione del popolo greco. L’Odissea rappresenta il momento di riflessione e di valutazione delle esperienze; celebra il momento di maturazione del popolo greco.
Entrambi i poemi sono attribuiti al poeta greco Omero, una figura leggendaria di cantore cieco vissuto, secondo alcuni, nel XII sec. a.C., secondo altri nel IX o nel VII sec. a.C. I due poemi sono da molti indi­cati come modello di perfezione e di ispirazione poetica. In essi, infatti, sono affrontati, con ricchezza di sentimenti, molti temi che interessali l'uomo contemporaneo: l'amore e l'odio, la famiglia e gli amici, la pace e la guerra, il sacrificio e la lotta, la patria e l'esilio, la vita e la morte, il desiderio di conoscere e i limiti della conoscenza, il sentimento religioso, il destino…

Prova Invalsi classe prima



LA SAGGIA GALLINA

Un giorno una gallina stava becchettando e razzolando sotto un albero fuori dal villaggio, quando uno sciacallo corse verso di lei. Era molto af­famato e già si rallegrava al pensiero di una saporita pollastra per pranzo. Ma la gallina lo vide e volò sull'albero.
5   - Buondì, piccola gallina - disse lo sciacallo - hai sentito le ultime notizie?
- Che notizie? - chiese la gallina.
     - Che notizie? La  più grande  notizia  di tutti i tempi; tutti gli animali hanno  
     fatto la pace tra loro. Ora gli animali sono amici e nessuno deve più temere  
     l'altro. Perciò puoi  scendere  tranquillamente  da  quell'albero, non ti  man-
10  gerò.
     Ma la gallina era saggia, sapeva in che conto tenere le parole dello scia­callo  
     e  rispose: - Sono  contenta  di  non doverti più temere, ma quassù c'è una   
     vista migliore. Posso vedere tutte le strade del mio villaggio.
     - E  che  cosa  c'è  di  speciale da vedere nel tuo villaggio? - le domandò lo   
15   sciacallo.
     - Nulla di speciale, solo un gruppo di cani che corre in questa direzione.
     Come sentì questo, lo sciacallo balzò in piedi e scappò via.
     - Ma perché scappi? - gli gridò dietro la gallina. - Hai appena detto che tutti  
      gli  animali hanno  fatto  la  pace  tra  loro!  I  cani  non  ti daranno nes­sun
20  fastidio!
     - Pensi che  non  conosca  quegli stupidi  cani del villaggio? Certamente non
     sanno ancora la notizia! - gridò lo sciacallo e sparì in un baleno.



Segna  la risposta esatta
1 Quali sono i personaggi protagonisti della favola?
¨ la gallina e i cani                  ¨ lo sciacallo e gli animali 
¨ la gallina e lo sciacallo          ¨ la gallina, lo sciacallo e i cani
2 Dove si svolge la favola?
¨ fuori da un villaggio, sotto un albero  ¨ fuori da un villaggio, in campagna  
¨ dentro un villaggio, sotto un albero    ¨ dentro un villaggio.
3 Dalla frase "ora gli animali hanno fatto pace tra di loro",(riga 7-8) che cosa puoi supporre?
¨ Prima non tutti erano amici tra di loro                            ¨ C'era stata una guerra
¨ Molti animali odiavano lo sciacallo                                  ¨ La gallina odiava i cani
4 Con quale connettivo puoi sostituire perciò nella frase "Perciò puoi scendere tranquillamente da quell'albero, non ti mangerò"?(riga 9-10)
¨ quindi, allora, dunque   ¨ dopo, poi, così     ¨ perché, finché, cioè.
5 Perché, a un certo punto, lo sciacallo scappa via?
¨ per inseguire la gallina  ¨ per l’arrivo dei cacciatori  ¨ perché arrivano i cani
6 Con quale delle seguenti parole puoi sostituire gruppo nell'espressione "gruppo di cani"?(riga 16)
             ¨ Mandria       ¨ Branco    ¨ Stormo        ¨ Flotta
7 Che cosa mostrano le parole finali dello sciacallo?
¨ Che fino all'ultimo non vuole smentire la falsa notizia che ha dato prima
¨ Che prima si era sbagliato a proposito della pace tra tutti gli animali
¨ Che ha ingannato la gallina           
¨ Che i cani sono ignoranti
8  Quali dei seguenti pregi umani rappresenta, a tuo giudizio, la gallina.
¨ vanità   ¨  avventatezza  ¨  intelligenza    ¨ ingenuità
9 Indica quali caratteristiche della struttura compaiono in questa favola, scegliendo l'informazione corretta fra le due alternative.
1 Lingua: complessa/semplice                           2 Dialoghi: presenti / assenti
3 Morale: implicita / esplicita                             4 Tempo: definito / indefinito
5 Spazio: definito con precisione / indicato in modo vago e generico
10 A proposito dei simboli che gli animali possono rappresentare nelle favole, quale convinzione co­mune viene rovesciata, a tuo giudizio, in questa favola? .………………………………………………………………………………………………………..
11 Nella frase “tutti gli animali hanno fatto la pace tra loro”(riga 7-8) il verbo presenta: ¨ un tempo semplice  ¨ un tempo composto ¨ l’ausiliare essere ¨ un modo indefinito
12 Nella frase “e nessuno deve più temere l'altro” (riga 8-9) il verbo sottolineato è:
   ¨modo finito         ¨ modo indefinito  
13 Nella frase “hai sentito le ultime notizie” (riga 5) il verbo “avere” ha funzione:
     ¨ di ausiliare     ¨ propria 
14 Esegui l’analisi grammaticale dei seguenti verbi
Fossi stato ………..………………………………………  Avrei avuto…………………………………….…………. Fosti………………………………………………………......  Avrai avuto………………………………….…………….
15 Coniuga i seguenti verbi secondo modo e tempo indicati.
Avere, modo participio tempo presente ……………………………………………………………………....
Essere, modo infinito tempo passato ………………………………………………………………………………
Avere, modo congiuntivo tempo passato ………………………………………………………………….…..
Essere, modo condizionale tempo presente ………………………………………………………..…………
Avere, modo indicativo tempo futuro anteriore ……………………………………………….…………..
Essere, modo indicativo tempo trapassato remoto.……………………………………………………….