Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi. 4
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'allegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi: 8
sì ch'io mi creda omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui. 11
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non vegga sempre
ragionando con meco, et io con llui. 14
F. Petrarca, Canzoniere, Torino, Einaudi, 1997
PARAFRASI
Solitario e pensieroso i luoghi più deserti
vado segnando con il mio passo lento
e rivolgo lo sguardo, attento in modo da
evitare evitare
ogni posto toccato da orme umane
Altro rifugio non so trovare che mi protegga
dall'attenzione ( indiscreta ) della gente;
poiché nei miei gesti privi di ogni serenità
esteriormente si intuisce come io, nell'intimo,
sono inquieto
cosicché credo ormai che monti, pianure
fiumi, boschi conoscano i caratteri della
mia vita
che pure è tenuta,cerco di tenere...
segreta agli altri
Del resto nessun isolato e solitario luogo
riesco a trovare, in cui Amore non mi
accompagni in ogni istante
parlando con me ed io con lui.
COMMENTO
Solo et pensoso, scritto nel 1337, è uno dei sonetti più famosi dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, che prenderanno poi successivamente il nome d’una indicazione di genere – Canzoniere – per il tasso innovativo che lo caratterizza. Petrarca infatti conferisce al Canzoniere una struttura organica, ordinando i singoli microtesti in una struttura dotata di un suo significato complessivo. Solo et pensoso appartiene alle rime "in vita" di Laura. La forma metrica adottata è quella del sonetto: quattordici endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con rima ABBA, ABBA, CDE, CDE.
La lirica del Petrarca soltanto in senso lato può essere definita amorosa, in quanto rappresenta l'espressione
del mondo interiore del poeta con i suoi turbamenti, le sue debolezze, le sue contraddizioni, le sue speranze
e le sue aspirazioni. Protagonista del Canzoniere di Petrarca è sì Laura, sì gli storici protettori del poeta
(i Colonna), ma soprattutto Petrarca stesso e gli effetti che il suo
amore per Laura produce nel suo animo. L’amore, che caratterizza l’opera
ed il poeta, è un amore tormentato, che investe sia l’anima che il
corpo. È un amore oscillante tra la passione dei sensi e il
vagheggiamento ideale. Un amore inteso come traviamento, da cui il poeta
spesso vuole liberarsi per poi però ricadere nel vagheggiamento e nella
preghiera.
L'amore per Laura quindi concretizza i moti più intimi e segreti dell'animo del poeta. I temi della poesia
ritorneranno in altri poeti addirittura del 900...ad indicare l’influenza e la modernità del Petrarca
Una coppia di fondo caratterizza la poesia: Esterno: rapporto con gli altri. Interno: Interiorità, animo del poeta
Coppia è un termine che possiamo usare anche per la metrica: stilisticamente il sonetto è infatti costruito con una coppia a due.
Due aggettivi simili lo introducono, altri due sono alla fine del secondo verso, e ancora nel v. 12: "solo e
pensoso... passi tardi e lenti... aspre vie né selvagge". Un doppio ritmo che da un suono più importante
dei significati.
Anche i sostantivi che si susseguono nei vv. 9-10 sono a gruppi di due.
Tutto il sonetto si muove così in una simmetria ondeggiante.
La malinconia del contenuto, la dissonanza(contrasto) che si viene a manifestarsi fra l'io e la natura sembrano trovare una sintesi nella poesia che vorrebbe rigenerare l’animo del poeta-viandante.
Il protagonista del Canzoniere è pertanto un uomo segnato dal dissidio interiore, da una lacerazione che
lo accompagna senza dargli pace anche nei luoghi più solitari e sconosciuti.
È questo l'uomo che si mostra a noi nel sonetto Solo et pensoso, un componimento non il solo che, per le
tematiche della solitudine e del colloquio con la propria anima, può rappresentare efficacemente la modernità
del Petrarca. Nel componimento è quindi evidente come il sentimento amoroso venga vissuto come
traviamento dell’animo, come tormento; ed è naturale conseguenza la
fuga, non solo dalla gente, ma anche, per certi versi, dal sentimento
amoroso stesso. Una solitudine che però, è evidente nell’ultima terzina,
non si realizza, poiché l’Io del poeta viene affiancato
dall’onnipresente Amore (sentimento in questo componimento, come sarà in
tanti altri, evidentemente tirannico) che, personificato come in tutta
l’opera, dice il poeta, “venga sempre ragionando con meco”
ANALISI TESTUALE
La sostanza moderna del sonetto è rilevata dalla presenza dominante del poeta che, protagonista assoluto
della "situazione" lirica, esprime con forte intensità la condizione del suo animo. La focalizzazione sull'io-
lirico è evidenziata dalla ricorrenza delle azioni descrittive, riferite in prima persona.
Il tema della lirica è il conflitto interiore del poeta che ricerca la solitudine vagando in una natura deserta e
solitaria per nascondere agli altri uomini la sua intima disperazione.
Il sonetto a livello strutturale può essere scandito in tre sequenze principali.
La prima quartina è incentrata sul tema della solitudine che ricorre nell'aggettivazione relativa al poeta
( solo et pensoso ) e in quella riferita al paesaggio ( deserti campi).
L'altra sequenza è rappresentata dal blocco sintattico costituito dalla seconda quartina e la prima terzina
(vv.5-11) in cui viene sottolineata la perfetta sintonia tra il paesaggio e lo stato d'animo del poeta. La natura
infatti sembra partecipare all'evidente stato di sofferenza che affligge il poeta e sembra potergli concedere
rifugio e conforto. Questa dimensione assunta dalla natura rappresenta in parte una novità nella poesia medievale e costituisce una creazione specifica della lirica di Petrarca. Nella tradizione poetica precedente infatti il paesaggio non è il luogo dove l'uomo può trovare la sua realizzazione.Insomma la natura come Laura è qualcosa di concreto
L'ultima terzina (vv.12-14) è un congedo ed è incentrata sul motivo del richiamo amoroso che non soltanto
non abbandona il poeta neanche nei luoghi più solitari, ma diventa per l'amante una voce amica che
nulla può far tacere. L’amore può anche essere inteso come elemento che spinge il poeta attraverso Laura
verso il mondo esterno che però è fatto di conflitti e contrasti.
L'espressione finale ragionando con meco, et io co llui(v.14), fortemente antitetica a quella iniziale
solo et pensoso(v.1), esprime il dissidio tra la solitudine ricercata dal poeta e la continua presenza di
Amor(v.13).
Possiamo notare la presenza di vocaboli usuali, fatte alcune eccezioni, come ad esempio i latinismi vestigio
(v.4) e piagge (v.9). Altri latinismi, in forma puramente grafica, sono et (vv.1,3,9,14) e human (v.4).
L'influsso del latino può giustificare inoltre la "e" in luogo di "i" nella voce mesurando (v.2). La voce avampo
(v.8) può essere considerata una forma colta in cui non avviene il rafforzamento della consonante "v"
dopo la vocale "a".
Petrarca nel Canzoniere però, non utilizza latinismi troppo scoperti anche perché non mira a una solennità
elevata di parola quanto piuttosto a una musicalità elegante ed armoniosa.
Segnaliamo infine la forma co llui(v.14), nella quale è avvenuta l'assimilazione "nl" in "ll".
La struttura ritmico-sintattica del sonetto è caratterizzata da una perfetta simmetria riscontrabile già dai
primi versi nella coppia di aggettivi solo et pensoso (v.1) con la coppia sinonimica tardi et lenti(v.2),
danno una sfumatura di significato, un rallentamento del ritmo che riproduce il vagare lento e senza meta
del poeta. Anche il verbo mesurando dà l'impressione di un vagare a passi lentissimi, proprio di chi, come
il poeta è immerso in una meditazione che lo assorbe completamente.
Figure retoriche:
L'espressione atti d' allegrezza spenti (v.7) è propriamente una litote in quanto attenua un'immagine troppo
forte, ma possiede anche un significato ossimorico poiché i due termini sono accostati per opposizione
(allegrezza spenti). A sua volta l'aggettivo spenti, correlato a di fuor (v.8), è in antitesi con avampi (v.8)
che richiama, con struttura a chiasmo, dentro (v.8). Da rilevare anche l'iperbato et gli occhi porto per fuggire
intenti (v.3), che rallenta notevolmente il ritmo.
Diverse antitesi come di fuor…dentro (v.8), spenti…avampi (vv.7-8), sottolineano il contrasto tra la pena
d'amore intima del poeta e gli atti esteriori. Fortemente antitetiche sono l'espressione iniziale solo et pensoso
(v.1)e quella finale ragionando con meco et io co llui (v.14), in cui si evidenzia il dissidio tra la solitudine
ricercata dal poeta e la continua presenza di Amor (v.13).
Personificazione: vv. 13-14: ”ch’Amor non venga sempre/ragionando con meco, et io co°llui”
Per quanto concerne l'aspetto fonico è da segnalare la terminazione in "i" delle rime delle quartine, che
contengono sempre i gruppi consonantici "mp" o "nt", il cui suono allitterante comunica una sensazione di
monotonia e immutabilità.
Altre allitterazioni sono presenti nella lirica. In solo et pensoso (v.1) abbiamo l'iterazione della sillaba "so",
rafforzata dalla "s" di deserti. Nell'ultimo verso invece si ripete la sillaba "co" in con meco et io co llui.
Endiadi: v. 2; vv. 9-10 : “Solo et pensoso i più deserti campi/vo mesurando a passi tardi et lenti“; “sì ch’io mi credo ormai che monti et piagge/ et fiumi et selve sappian di che tempre”
Metafora: v.2; v. 8: “vo mesurando”; “com’io dentro avampi”
Iperbato: v.3: “et gli occhi porto per fuggire intenti” (ricostruzione: et porto gli occhi intenti per fuggire)
Il personaggio di Solo et pensoso rivela notevoli affinità aspetti dei poeti del 900-ecco perchè diciamo che
Petrarca è moderno (con una certa esagerazione)
giovedì 29 marzo 2012
lunedì 19 marzo 2012
Il riassunto
Riassumere significa esporre brevemente e con parole
proprie il contenuto essenziale di una narrazione più ampia e particolareggiata.
Il riassunto ha due funzioni, una
per chi lo fa e una per chi lo legge.
L’arte del riassumere è importante
e utilissima e la si impara mettendole in atto.
Fare riassunti serve a condensare
le idee, in altre parole insegna a scrivere.
Le domande fondamentali:
CHI? (i personaggi)
DOVE? (il luogo)
PERCHE’? (il motivo)
CHE COSA? (il fatto)
QUANDO? (il tempo)
Scheda guida per fare il riassunto:
Leggere attentamente
il racconto e capirne bene il significato generale cercando sul vocabolario il
significato di eventuali parole difficili o sconosciute.
Dividere il racconto in parti o sequenze per capire la successione logica dei fatti.
Individuare i fatti principali, eliminando
quelle informazioni (anche intere sequenze) che non sono indispensabili per lo
svolgimento del racconto, ma che servono semplicemente ad arricchirlo.
Esporre con parole proprie, in forma sintetica e con
periodi semplici e scorrevoli, il contenuto essenziale del racconto, usando un
linguaggio referenziale, che si limiti cioè a riferire i fatti così come sono,
senza alcuna considerazione personale.
In quest’ultima operazione vi sono
delle precise regole da osservare:
-
trasformare il discorso diretto in discorso indiretto
facendo attenzione al cambiamento di persona (da 1° a 3°) al verbo ai pronomi
personali, agli aggettivi e pronomi possessivi;
-
scegliere il tempo verbale da usare nelle proposizioni
principali e mantenerlo nello svolgimento del riassunto.
Come analizzare un racconto
Il racconto
è costituito da una trama, cioè l’ossatura fondamentale della storia che si
sviluppa nelle sequenze. La sequenza
è una parte di racconto che rivela unità di tempo, luogo, azione,
contenuto.
Le
sequenze: narrano, descrivono, esprimono giudizi o riflessioni dei personaggi,
esprimono giudizi e riflessioni dell’autore.
Per
individuare il passaggio da una sequenza all’altra esistono dei segnali
indicatori:
a)
introduzione o nascita di un personaggio;
b)
cambiamento di luogo;
c)
cambiamento di tempo;
d)
cambiamento di modalità del testo: passaggio dalla
narrazione alla descrizione, al dialogo.
Tra una sequenza e l’altra ci deve essere una differenza
di contenuto (a,b,c) o di forma (d).
Il racconto si sviluppa attorno ai personaggi. I personaggi possono essere analizzati
secondo:
-
aspetto;
-
comportamento;
-
sentimenti, carattere.
In base al ruolo che i personaggi hanno nella storia si
possono cogliere le relazioni, cioè i rapporti che hanno tra loro. Si
possono individuare:
a)
relazioni positive: amore, collaborazione;
b)
relazioni conflittuali: scontro, contrapposizione;
c)
relazioni di indifferenza: i personaggi agiscono
vicini senza avere relazioni.
Il racconto può essere narrato:
-
dal protagonista;
-
da un personaggio marginale;
-
da un narratore esterno che sembra sapere e vedere ogni
fatto, ogni evento.
Per analizzare un racconto si devono cogliere:
a)
le caratteristiche dei luoghi;
b)
la dimensione temporale come successione o durata.
I personaggi sono l’elemento fondamentale del
racconto, oltre i personaggi possono avere un ruolo importante: oggetti,
animali, elementi del paesaggio. Oltre le relazioni tra personaggi è importante
cogliere l’evoluzione psicologica e le trasformazioni interiori.
I luoghi. Per analizzare i luoghi occorre (oltre
all’individuazione):
-
distinguere se reali o immaginari;
-
enucleare ciò che li caratterizza;
-
riflettere sulle modalità di presentazione:
1.
esauriente e dettagliata;
2.
con annotazioni esplicite riportate dall’autore;
3.
senza nessuna informazione diretta per cui i luoghi
vanno dedotti.
-
esaminare il ruolo della descrizione che può:
1.
introdurre le vicende;
2.
interrompere la successione degli eventi;
3.
riflettere e rispecchiare la psicologia dei
personaggi.
I tempi.
L’analisi dei tempi di una storia riguarda:
-
l’ordine degli avvenimenti narrati che può:
1.
essere cronologico, seguire la successione temporale
reale;
2.
anticipare fatti futuri;
3.
ricordare eventi passati.
-
la durata degli avvenimenti. Per esaminare la durata
degli avvenimenti occorre riflettere sul rapporto tra tempo del discorso e
tempo della storia. Il tempo della storia è il tempo della durata reale degli
avvenimenti, il tempo del discorso è il tempo della narrazione. Si possono
verificare tre tipi di rapporto tra i due diversi tempi:
1.
il tempo del discorso è più breve di quello della
storia, narratore che riassume;
2.
il tempo del discorso è uguale a quello della storia,
dialoghi;
3.
il tempo del discorso è più lungo di quello della
storia, il narratore sospende il racconto per lunghe riflessioni o descrizioni.
Il Mito
Come favola e fiaba si collega alla sfera dell’immaginario.
Il mito racchiude le credenze, le
convinzioni religiose, i valori morali di un popolo.
Il mito è un racconto fantastico
di tipo speciale perché ha un contenuto immaginario ma nasce da una necessità,
quella degli uomini di conoscere alcuni aspetti della realtà le cui origini
erano avvolte nel mistero.
L’uomo si pone i primi perché e
risponde con la fantasia.
A noi i miti servono perché ci danno informazioni sulla cultura dei
popoli antichi (fonti storiche) e sulla loro mentalità, i miti hanno un
carattere religioso.
Spesso i miti di popoli diversi si somigliano perché hanno elaborato
spiegazioni simili.
I personaggi dei miti sono divinità o creature fantastiche
(draghi, mostri), individui (eroi che sono a metà tra uomini e dei) con doti
straordinarie, spesso sono figli di divinità. Di solito sono ben definiti.
Anche gli elementi naturali alcune volte sono personificati.
Il tempo è molto remoto, alle origini dell’uomo ma indeterminato
Il luogo è generico e indeterminato, fantastico e immaginario
Le vicende riflettono le usanze dalla civiltà che ha scritto il
mito
Il linguaggio è semplice perché prima erano orali.
La mitologia ha esercitato una forte influenza sulla civiltà occidentale.
Nel linguaggio moderno quando si parla di mito si intende una cosa
diversa
LE ORIGINI DELLA FIABA
La parola fiaba (dal latino fabula)
significa narrazione e ci riporta a storie di origine antichissima e misteriosa.
Le fiabe, che a prima vista possono sembrare racconti semplici e quasi
infantili, in realtà tramandano un patrimonio di saggezza e di conoscenze
comuni a popoli anche lontani fra loro e profondamente diversi. Questi
racconti meravigliosi sarebbero quindi l'espressione di una cultura che
accomuna popoli anche molto diversi tra loro, quasi che la fantasia e i
desideri dell'uomo si esprimano in maniera «simile» in ogni luogo e in ogni
tempo. Forse proprio per queste somiglianze, le fiabe, anche di epoche e
culture lontane da noi, continuano ad affascinarci e a sorprenderci.
Gli studiosi hanno cercato di capire quale origine possano avere le
fiabe, a quale esigenza, comune a tutti gli uomini, esse rispondano. Una teoria particolarmente affascinante è
quella elaborata dallo studioso russo Vladimir PROPP (1895-1970) che ha
individuato un legame tra la fiaba ed i riti di passaggio delle società
primitive di cacciatori. In età
preistorica questi riti simboleggiavano il passaggio dall'infanzia all'età
adulta attraverso il superamento di alcune prove, proprio come accade ai
protagonisti delle fiabe. Consideriamo ad esempio la partenza dell'eroe
con cui solitamente iniziano le fiabe. Secondo Propp, questa funzione
corrisponde presso i popoli primitivi allontanamento dei giovani dalla
tribù durante il rito dell'iniziazione. Che cos'è l'iniziazione? È uno
dei momenti più importanti all'interno della vita delle tribù primitive e
ancor oggi si svolge presso alcune tribù isolate del continente africano e
sud-americano. Il rito si celebra al sopraggiungere dell'adolescenza. Con esso
i giovani di sesso maschile vengono introdotti nella comunità, di cui divengono
membri effettivi; da quel momento in poi possono anche sposarsi. Durante un
periodo più o meno lungo i giovani vengono allontanati dai genitori e devono
dimostrare di poter cavarsela da soli all'interno della foresta, saper fuggire
i pericoli ed essere in grado di soddisfare i propri bisogni. Questo allontanamento,
presso alcune popolazioni, prende la forma simbolica di un «rapimento» ad opera
dello stregone del villaggio, travestito da serpente. Al momento della
partenza il giovane viene accompagnato dai consigli degli anziani oppure da divieti
particolari. Al giovane che sta per diventare un vero uomo vengono affidati dei
compiti, che servono a dimostrare il suo coraggio agli occhi della
tribù. Il giovane, prima di entrare nella foresta, invoca gli spiriti che la
abitano e porta con sé piccoli amuleti o totem, che raffigurano solitamente
degli animali i quali hanno la funzione di proteggerlo durante la sua impresa.
Durante l'iniziazione si ritiene che il fanciullo muoia alla vita «vecchia» per
rinascere come uomo nuovo. Subisce insomma la «morte temporanea» che viene
simboleggiata attraverso un seppellimento o addirittura delle mutilazioni,
come il taglio di un dito. I riti, celebrati nel folto della foresta, erano
circondati dal più fitto mistero. Spesso
ai ragazzi, condotti singolarmente in un luogo rituale, (al centro della
foresta c'è di solito una capanna, la grande casa dove si svolgono i
riti di iniziazione: per entrarvi bisogna conoscere una formula, uno
scongiuro, oppure compiere sacrifici e gesti particolari; la capanna e la
foresta sono i simboli del regno dell'oltretomba e chi vi abita, lo stregone,
ne è il custode) venivano presentate situazioni pericolose o che incutevano
paura; esperti stregoni somministravano loro sostanze speciali, con l'aiuto
delle quali gli iniziati vivevano esperienze di conoscenza di sé, dei propri
limiti, delle proprie effettive capacità nella resistenza al dolore. Dopo il
superamento delle prove, in cui aveva dimostrato coraggio, tenacia e capacità
di sopravvivere da solo, il ragazzo tornava al villaggio «trasformato»: era
diventato adulto e aveva il diritto di sposarsi. Il rito spiega dunque come
comportarsi, in che cosa credere, come chiedere l'aiuto di un'entità misteriosa
o divina. Superando le prove del rito, il giovane viene accolto nella comunità
e incomincia a partecipare attivamente alla vita sociale del villaggio e della
tribù. Anche nelle fiabe classiche il bosco è di solito un luogo misterioso e
pieno di pericoli, l'eroe deve superare difficili prove e spesso subisce una
trasformazione che gli consente di sposare la giovane per cui ha lottato. Con
il mutamento della società e delle abitudini di vita, questi riti non vennero
più celebrati, ma ne restarono il ricordo e la narrazione. Sarebbe proprio
questa, secondo Propp, la radice antichissima non solo delle più antiche forme
di teatro, ma anche dei miti e delle fiabe stesse.
Un altro studioso, Bruno BETTELHEIM (1903-1992), uno psichiatra
austriaco vissuto negli Stati Uniti, ha individuato nel mondo delle fiabe uno
specchio delle difficoltà psicologiche che ogni essere umano deve affrontare
per crescere, diventare se stesso, affrontare problemi e dolori. Le fiabe ci
comunicano, dice Bettelheim, «che una lotta contro le gravi difficoltà della
vita è inevitabile, è una parte dell'esistenza umana e che soltanto chi non si
ritrae intimorito, ma affronta risolutamente difficoltà inaspettate e spesso
immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine riuscire vittorioso. Le
fiabe ci pongono di fronte ai principali problemi umani.»
Questo spiegherebbe anche il fascino e l'attrazione che le fiabe
esercitano sui bambini di tutto il mondo.
Nelle fiabe essi vedono raffigurati fantasticamente i loro problemi, le
paure, la difficoltà di diventare grandi.
LE FUNZIONI DI PROPP
Vladimir Propp, ha
confrontato molte fiabe e ha scoperto che in tutte è presente un numero limitato
di motivi o temi fissi. Sussistono cioè personaggi o situazioni che esercitano
nel racconto funzioni precise. Queste sono l'impalcatura, la struttura di fondo
su cui viene poi costruita tutta la storia e inoltre si susseguono in modo
quasi sempre identico all'interno di fiabe anche molto diverse. Non in ogni
fiaba, comunque, sono presenti tutte le funzioni: talvolta ne compaiono solo
alcune.
Cominciamo dai
personaggi-tipo: Propp ne ha identificati sette.
1. L'eroe:
il protagonista della fiaba. 2. Il
falso-eroe: il personaggio che si sostituisce all'eroe per ottenere favori
o riconoscimenti immediati. 3.
L'antagonista: il nemico del protagonista, il
«cattivo» che ostacola l'eroe. 4. Il donatore: il personaggio che
fornisce all'eroe i mezzi magici per vincere l'antagonista. 5. L'aiutante: il
personaggio che aiuta l'eroe in diverse circostanze. 6. Il mandante: il
personaggio che manda l'eroe alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. 7. Il
ricercato: il personaggio che deve essere raggiunto, liberato, salvato.
Questi personaggi tipo non sono necessariamente tutti presenti in ogni
fiaba, ma soprattutto i più importanti, come l'eroe, l'antagonista o il
ricercato, possono essere ritrovati in moltissimi racconti.
Ecco ora uno schema delle situazioni ricorrenti (funzioni) identificate
da Propp.
1.Allontanamento
(uno dei mEmbri della famiglia si allontana, oppure muore). 2. Divieto
(si proibisce qualcosa all'eroe oppure gli si impone un ordine). 3. Infrazione
(la proibizione viene infranta). 4. Investigazione (l'antagonista cerca
di scoprire qualcosa o cerca informazioni sull'eroe). 5. Delazione
(l'antagonista svela un segreto). 6.
Tranello (l'antagonista cerca di ingannare l'eroe).
7. Connivenza-complicità
(l'eroe cade nell'inganno e favorisce involontariamente l'antagonista). 8.Danneggiamento(l'antagonista
provoca una sciagura o un danno a uno dei membri della famiglia; manca
qualcosa o viene il desiderio di
qualcosa). 9. Mediazione (la sciagura o la mancanza sono rese note;
all'eroe viene imposto un compito difficile; ci si rivolge a lui con una preghiera
o un ordine, lo si invia in qualche luogo). 10. Consenso dell'eroe. 11.
Partenza dell'eroe. 12. Prova a cui è sottoposto l'eroe. 13.
Reazione dell'eroe. 14. Fornitura del mezzo magico. 15.
Trasferimento dell'eroe. 16. Lotta tra eroe e antagonista. 17.
Marchiatura (l'eroe viene marchiato o reso riconoscibile con un segno sul
corpo). 18. Vittoria sull'antagonista. 19. Rimozione della
sciagura o mancanza iniziale. 20. Ritorno
dell'eroe. 21. Persecuzione
dell'eroe. 22. Salvataggio
dell'eroe.
23. Arrivo
in incognito a casa dell'eroe. 24. Pretese infondate del falso eroe.
25. Compito difficile imposto all'eroe. 26. Adempimento del
compito. 27. Riconoscimento dell'eroe. 28. Smasche-ramento del
falso eroe o dell'antagonista. 29. Trasfigurazione dell'eroe (l'eroe
appare trasformato).
30. Punizione dell'antagonista. 31. Nozze dell'eroe o
lieto fine.
IL
TEMPO E LO SPAZIO
| Una caratteristica costante della fiaba è la mancanza di indicazioni precise
in relazione al tempo e allo spazio. Il tempo, infatti, in cui si
svolgono le vicende è sempre indefinito, imprecisato.
Le formule consuete «C'era una volta...», «Tanti, tanti anni fa...»,
«Nei I tempi antichi...», «Una volta.;.», che rimandano a un passato lontano,
vago, indeterminato, rendono ancor più misteriose e fantastiche le vicende narrate e consentono al lettore di
proiettarsi in un «tempo che non ha tempo» e di dare largo spazio alla propria
immaginazione. La durata stessa delle vicende è spesso generica:
potrebbero durare poche ore, come tanti giorni o tanti anni. Anche i luoghi
delle fiabe sono generalmente presentati con povertà descrittiva, anch'essi
risultano indeterminati, perché ciò che più interessa nella fiaba sono
le vicende e i personaggi. Questa indeterminatezza, imprecisione, indefinitezza
contribuisce a creare un'atmosfera misteriosa, magica, fantastica.
IL LINGUAGGIO
Il linguaggio della fiaba è caratterizzato dalla presenza di:
• espressioni tipiche del linguaggio orale, quotidiano, informale.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le fiabe erano racconti trasmessi
oralmente da una generazione all'altra.
• formule fisse iniziali e finali. (Ad esempio: «C'era una
volta...», «... e vissero felici e contenti»)
• elementi ricorrenti che si ripetono sempre uguali, facili da
tenere a memoria. (Ad esempio: formule magiche, filastrocche senza senso...)
• dialoghi frequenti che vivacizzano la narrazione.
• utilizzo di voci verbali coniugate al modo indicativo e al tempo
imperfetto (usato più frequentemente in quanto è quello che esprime meglio
l'idea di una azione passata, ma indefinita, non del tutto compiuta) passato
remoto (usato soprattutto per
indicare azioni passate accadute in momenti ben precisi) presente (usato nei dialoghi).
FIABE DELLA TRADIZIONE E FIABE D’AUTORE
I primi scrittori-raccoglitori
risalgono al Seicento.
• In Italia Giambattista BASILE (1575-1632) scrisse in dialetto
napoletano cinquanta fiabe tradizionali nel suo Lo cunto de li cunti o Pentamerone.
• In Francia, sempre nel 1600, Charles PERRAULT (1628-1703)
interpretò fiabe già esistenti scrivendo I racconti di Mamma l'Oca, tra
cui sono famose: Cappuccetto rosso, II gatto con gli stivali, Cenerentola,
La bella addormentata nel bosco.
• Un secolo dopo, nel 1700, si diffusero in Europa le famose fiabe de Le
mille e una notte, una raccolta proveniente dal mondo arabo, di cui
conoscerai la storia di Aladino e quella di Ali Babà e i quaranta
ladroni.
• Solo nel 1800, però, vi fu una diffusione straordinaria
dell'interesse per la fiaba e per la cultura popolare: fiorirono così raccolte
di fiabe tradizionali in moltissimi Paesi.
• In Germania i più famosi scrittori di fiabe sono, stati Clemens BRENTANO
(1778-1842) e i fratelli GRIMM, Jakob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859),
che raccolsero un gran numero di fiabe della tradizione tedesca, tra cui Hansel e Gretel, Pollicino o Raperonzolo.
• In Italia, Giuseppe PITRÉ
(1841-1916) studiò e raccolse le fiabe della Sicilia.
• Ai giorni nostri Italo CALVINO (1923-1985) ha racchiuso nel
libro Fiabe italiane, del 1956,il suo paziente lavoro di ricerca e
trascrizione delle fiabe scritte nei vari dialetti regionali del nostro Paese.
Molti scrittori si sono cimentati con il genere «fiaba», creando storie
che naturalmente si ispiravano alla tradizione, ma che avevano trame originali
e personaggi inventati. Tra i più importanti ricordiamo il danese Hans
Christian ANDERSEN (1805-1875), autore tra l'altro di II brutto
anatroccolo, I cigni selvatici, La principessa, sul pisello; il siciliano
Luigi CAPUANA (1839-1915); la toscana Emma FERODI (1850-1918);
l'irlandese Oscar WILDE (1854-1900).
ORIGINI E INSEGNAMENTI DELLA FAVOLA
Come
è nata la favola?Come per tanti altri generi letterari, non sappiamo
esattamente come e perché sia nata la favola. Forse Esopo, primo scrittore di
favole, voleva insegnare le virtù ai bambini, e pensò di interessarli con
storie che avessero come protagonisti degli animali. Questi, infatti, sono
molto spesso i beniamini dei più piccoli e sono figure simpatiche e
divertenti. Nell'antica Grecia, comunque, le favole venivano usate nelle
scuole per insegnare ai giovani la morale. Circa sei secoli dopo, l'altro
grande scrittore di favole, il latino Fedro, ne spiegò la nascita in un modo
molto interessante. Ecco la sua ipotesi.
«Ora dirò
brevemente come sia nato il genere della favola: gente sottomessa e schiava,
non osando dire quello che avrebbe voluto, trasformò i suoi pensieri in
favolette. Fingendo di scherzare,
evitò la condanna. Io poi trasformai questo trucco in un'arte... E se
qualcuno, sospettoso, erroneamente riferirà a sé quel che io dirò in generale,
stolto, farà capire d'essere colpevole. Vorrei però ugualmente scusarmi con
lui: non ho intenzione di indicare singole persone ma mostrare la vita com'è e
i comportamenti umani».
Quindi gli
scrittori di favole, secondo Fedro, erano uomini senza potere (schiavi o
poveri) che, per paura di essere puniti, rappresentavano sotto forma di
animali le persone potenti, di cui volevano denunciare i vizi e le malvagità.
In questo modo la critica diventava più nascosta. Nello stesso tempo era
possibile per chiunque riconoscere i personaggi che si celavano dietro agli
animali: le favole, infatti, utilizzavano un linguaggio semplice e
universale.
Le favole
hanno sempre un lieto fine?
Come
abbiamo visto, le favole esaltano le virtù e condannano i vizi, anche se non è
detto che per i personaggi (gli animali) buoni e generosi ci sia sempre un
lieto fine. Le favole rispecchiano situazioni reali e, come accade nella
realtà, non sempre hanno un lieto fine. Bisogna leggerle con attenzione per
comprendere l'insegnamento che contengono: l'aggressività, l'ingratitudine, la
prepotenza, possono anche, in alcuni casi, prevalere sui buoni sentimenti, ma
non vengono mai proposte come modelli da imitare.
AUTORI DI FAVOLE
La favola come genere letterario nacque in Oriente, probabilmente in Mesopotamia, dove se ne sono trovati esempi in testi numerici dell’inizio del secondo millennio a.C. e in testi assiro-babilonesi; ed è proprio a questi testi che si suppone si siano rifatti i primi favolisti greci.
La favola assunse, poi, i suoi caratteri tipici intorno al VI secolo a.C. con il greco Esopo, dal quale successivamente trasse spunto la favolistica latina grazie ad autori quali Fedro, Ennio,Lucilio e Orazio.
Nei secoli successivi si ebbero altre raccolte di favole ma solo nel Medio Evo la tradizione favolistica ebbe grande fortuna. Fu nuovamente trascurata nel Quattrocento per essere poi ripresa da Leopardo e, nel Cinquecento, da autori quali il Firenzuola e l’Ariosto mentre nel Seicento fu più apprezzata in Francia che altrove, grazie anche all’opera di Jean de La Fontane.
Jean de La Fontaine nacque in Francia nel 1621. Di origini borghesi, conquistò la benevolenza dei nobili parigini come autore di commedie, poemi e racconti. La sua grande fama è dovuta soprattutto alle Favole, attraverso cui rappresentò i vizi degli uomini in generale e i capricci degli aristocratici in particolare. La sua opera letteraria fu tanto apprezzata che nel 1683 fu eletto membro dell'Accademia Francese (un’importante istituzione, sorta, nel l634; e ancora esistente, della quale fanno parte i maggiori letterati francesi, sempre in numero di quaranta). Morì nel 1695.
Il genere della favola fu molto utilizzato nel Settecento, per i suoi intenti educativi, mentre ebbe meno fortuna nell’Ottocento romantico che le preferì la fiaba per il senso di misterioso e fantastico. Di questo periodo bisogna ricordare Tolstoj. Lev Tolstoj era nato nel 1828 a Jasnaja Poljana in Russia, dal matrimonio tra un conte e una principessa, rimase orfano a soli nove anni. Insieme con altri cinque fratelli, ereditò vasti possedimenti terrieri, dove lavoravano in condizioni di semi-schiavitù moltissimi contadini. Dopo alcuni anni passati nell'esercito, abbandonò la carriera militare e ritornò alle sue terre, dove offrì la libertà ai contadini. Questi, però, sospettando che si trattasse di un tranello, rifiutarono l'offerta. Tolstoj, invece, era sinceramente preoccupato di migliorare le condizioni di vita dei più poveri. Così, dopo lunghi viaggi in Europa, tornò a Jasnaja Poljana e, nel 1859, aprì una scuola per i figli dei contadini.In questa scuola Tolstoj non voleva solamente insegnare a leggere e a scrivere, ma anche impartire un'educazione morale ai giovani. A questo scopo egli, già autore di grandi romanzi come i famosi Guerra e Pace e Anna Karenina, scrisse anche numerose favole che servivano all'educazione dei suoi allievi. La scuola di Jasnaja Poljana divenne un centro di fama internazionale, dove si recavano da tutto il mondo scrittori, scienziati, giovani e uomini comuni interessati a conoscere il metodo educativo del grande scrittore russo. Tolstoj trascorse gli ultimi anni della sua vita peregrinando per la Russia in cerca della serenità e della pace interiore. Il 7 novembre del 1910 morì povero e lontano da casa. Il suo funerale vide una grande e commossa partecipazione popolare.
Nel nostro secolo, infine, la favola è stata rivalutata da scrittori moderni quali Trilussa, Pratesi, Moravia, Malerba, Rodari e tanti altri che, pur rifacendosi alle favole tradizionali, hanno rivestito le loro narrazioni di attualità, ispirandosi agli aspetti e ai problemi della società attuale. Le favole moderne presentano in genere un intreccio più complesso di quello delle favole tradizionali, un testo più lungo, una maggiore ricchezza di personaggi; non più soltanto animali o piante, ma anche esseri umani e, infine, la mancanza per lo più della finalità didascalica
L’EPICA CLASSICA
Epica (dal termine greco epos: parola, discorso, racconto)
è la narrazione poetica delle imprese gloriose, straordinarie di un popolo,
dei suoi eroi, dei suoi dei.
Tutti i popoli antichi hanno sentito l'esigenza di tramandare ai
posteri le memorie del proprio passato riguardanti le vicende della patria e le
gesta gloriose degli eroi locali. Ogni civiltà, soprattutto all’inizio della
sua storia, produce opere epiche, perché i popoli amano celebrare il proprio
passato, legandolo a fatti o imprese memorabili, per esaltare l’importanza e la
dignità della propria origine. Per questo la realtà dei fatti viene spesso
trasformata dalla fantasia dei poeti e arricchita con elementi tratti dal mito
Questi canti di tipo epico, pur presentando una realtà spesso trasfigurata,
idealizzata dalla fantasia poetica e popolare, rappresentano un vero e proprio
«fatto culturale» in quanto rispecchiano gli ideali e i valori (religiosi,
morali, civili, sociali, politici) dell'intero gruppo sociale o del popolo cui
appartengono.
I canti celebrativi nei tempi antichi venivano trasmessi oralmente di
generazione in generazione da poetì-cantori, detti «aèdi» o
«rapsodi», che nelle corti, nelle piazze, nei villaggi e nelle città
recitavano le loro composizioni accompagnandosi con strumenti musicali quali la
cetra o la lira. Solo più tardi questi canti, che costituirono l'antichissima
tradizione epica popolare, si unificarono, per opera di grandi poeti, in veri
e propri poemi come nel caso dell'Iliade e dell'Odissea,
attribuiti a Omero.
Quando parliamo di «epica classica» ci riferiamo ai poemi epici
del mondo classico, cioè greco e latino.
Gli aspetti essenziali di un poema classico sono:
·
il carattere celebrativo della poesia: in
tali poemi vengono infatti celebrate le imprese gloriose di eroi, esseri
eccezionali di origine umana o divina o semidivina;
·
la presenza di tre parti fondamentali:
-
il
proemio, ossia una premessa al racconto vero e proprio, contenente
l'invocazione alla Musa ispiratrice e l'esposizione sintetica dell'argomento
che verrà trattato nell'opera
-
lo svolgimento o narrazione dei fatti
-
la catarsi
che si riferisce alla conclusione della vicenda
·
la presenza di un protagonista, ossia di
un personaggio principale, dalle caratteristiche fisiche e morali ben
delineate, che si distingue da tutti gli altri per la grandiosità delle sue
azioni e dei suoi comportamenti. E il caso di Achille nell'Iliade di
Ulisse nell'Odissea, di Enea nell'Eneide;
·
la
presenza di un antagonista, ossia di un avversario, un personaggio di
ostacolo, contro il quale il protagonista deve inevitabilmente scontrarsi per
affermare la propria superiorità e quindi celebrare il proprio trionfo. Così
Achille dovrà combattere contro Ettore, Ulisse contro i Proci, Enea contro
Turno;
·
la
presenza degli dei che giocano un ruolo determinante nelle vicende.
Dominati da sentimenti e passioni umane, ora aiutano gli eroi, ora li
ostacolano; ora impediscono che certi avvenimenti accadano, ora invece ne
favoriscono il compimento.
L'epica greca
I più antichi capolavori epici della tradizione greca e mediterranea
sono l’Iliade e l'Odissea, due poemi (lunghi racconti in
versi) che trattano vicende avvenute durante la guerra tra Greci e Troiani (XII
sec. a. C.). L'Iliade racconta gli ultimi giorni della guerra che ha
portato alla distruzione di Ilio (nome greco della città di Troia, nell'odierna
Turchia); l'Odissea narra le peripezie dell'eroe greco Odissee
(Ulisse), mentre ritorna alla sua patria, Itaca, dopo quella guerra. L’Iliade
rappresenta l’ideale dell’azione, dell’entusiasmo guerriero, dell’accettazione
della volontà divina; celebra il momento di massima espansione del popolo
greco. L’Odissea rappresenta il momento di riflessione e di valutazione delle
esperienze; celebra il momento di maturazione del popolo greco.
Entrambi i poemi sono attribuiti al poeta greco Omero, una figura
leggendaria di cantore cieco vissuto, secondo alcuni, nel XII sec. a.C.,
secondo altri nel IX o nel VII sec. a.C. I due poemi sono da
molti indicati come modello di perfezione e di ispirazione poetica. In essi,
infatti, sono affrontati, con ricchezza di sentimenti, molti temi che
interessali l'uomo contemporaneo: l'amore e l'odio, la famiglia e gli amici, la
pace e la guerra, il sacrificio e la lotta, la patria e l'esilio, la vita e la
morte, il desiderio di conoscere e i limiti della conoscenza, il sentimento
religioso, il destino…
Iscriviti a:
Post (Atom)