domenica 28 febbraio 2016



domenica 16 novembre 2014

testo argomentativo




LA LETTERA


IL TESTO ARGOMENTATIVO

Per prima cosa occorre presentare in modo chiaro l'argomento og­getto della nostra argomentazione. Una volta enunciato l'argomento occorrerà procedere esponendo in modo sintetico la tesi, ovvero la nostra opinione a proposito della questione da affrontare. L'esposizione della tesi è soltanto il primo passo; essa, infatti, dovrà fondarsi su argomenti logici, espressi in modo ordinato. Una volta esaurite le argomentazioni, potremo ribadire la nostra tesi sull'ar­gomento in modo più approfondito ed efficace e arrivare così alle conclusioni.
È chiaro che il punto centrale in questo tipo di testo sarà la ricerca delle argomentazioni e la loro esposizione fatta in modo che esse risultino convincenti e ordinate.
Tale ordine potrà fondarsi su due procedimenti diversi:
·        da esempi di casi particolari per andare a un "principio" generale (ragionamento induttivo);
·        da un "principio" generale per poi portare esempi utili al caso particolare (ragionamento deduttivo).
Si può, cioè, partire con il dire che "rubare è sbagliato" e portare poi molti esempi che lo dimostrano (ragionamento deduttivo) oppure ci­tare molti esempi di furti e arrivare a concludere che rubare è sbagliato (ragionamento induttivo).
Ricorda, però, che una delle caratteristiche fondamentali del testo argomentativo è che esso riporta un'opinione e quindi sarà quasi sempre impossibile dimostrare una "verità". Per questo il valore di un'argomentazione sarà legato all'ordine con cui è organizzato, alla validità e alla buona esposizione dei propri argomenti.


 Schema del testo  argomentativo semplice
esposizione dell'argomento        
esposizione della tesi
argomentazione e prove a favore della tesi
conclusione


Argomentazione completa

Perché un testo argomentativo sia completo, però, occorrerebbe riportare tutte e due le tesi, sia quella di chi parla sia quella di chi si oppone a chi sta parlando. Se si trattasse di scrivere, ugualmente, per costruire in modo otti­male un testo argomentativo, si dovrebbero prendere in considera­zione anche opinioni diverse e opposte a quelle di chi sta scrivendo. In questo caso, tali opinioni verranno esposte e confutate, per di­mostrarne, quindi, la non validità.
Questo tipo di testo argomentativo, essendo più completo, è molto più complesso, perché richiede per chi scrive (o parla) una docu­mentazione adeguata anche su opinioni diverse dalle proprie e, so­prattutto, la dimostrazione dei loro punti deboli.
Con questo tipo di struttura la conclusione as­sume un'importanza rilevante, perché sarà il mo­mento in cui la tesi che si sostiene viene ribadita come l'unica valida: la conclusione, quindi, resterà impressa nella mente di chi legge e dovrà riassumere i motivi principali che rendono la nostra tesi preferibile rispetto a quella degli altri.

Schema del testo  argomentativo completo
esposizione dell'argomento        
esposizione della tesi (opinione che si vuole sostenere)
argomentazione della tesi
esposizione della seconda tesi (opinione che si vuole confutare)
argomentazione della seconda tesi
conclusione, in cui si pongono a confronto le tesi e si dimostra come migliore la propria



  La globalizzazione è un bene o un male? Rappresenta la promessa di maggiore libertà e benessere per i cittadini di tutto il mondo, o costituisce un pericolo, perché favorisce l'omogeneizzazione culturale, l'omologazione consumista, la fine delle particolarità culturali, dell'identità dei popoli e della ricchezza delle tradizioni locali?
Dopo aver letto rifletti, scegli quello dei due argomenti che ti convince di più e scrivi un testo argomentativo semplice.










venerdì 14 novembre 2014

mito dell'olivo

L'olivo nella mitologia
Un mito greco attribuisce ad Atena la nascita del primo olivo che sorse nell'Acropoli a protezione della città di Atene. La leggenda racconta che Poseidone ed Atena, disputandosi la sovranità dell'Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia, fece nascere dalla terra il primo albero di olivo per illuminare la notte, per mendicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione. Zeus scelse l'invenzione più pacifica ed Atena divenne la dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l'albero di Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Quella roccia che resistette era appunto l'Acropoli, dove la pianta dell'olivo venne presidiata dai soldati perchè sacra ai greci.
Secondo una leggenda riferita da Plinio e da Cicerone, sarebbe stato Aristeo lo scopritore dell'olivo e l'inventore del modo di estrarre l'olio, all'epoca fenicia. L'olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero; L'Iliade e l'Odissea narrano spesso dell'olivo e del suo olio. Stupenda la descrizione della camera da letto nella quale Penelope accolse Ulisse al suo ritorno, e che Ulisse stesso aveva costruito prima della sua partenza con legno d'olivo.
A Roma l'olivo era dedicato a Minerva e Giove. I romani, pur nella loro praticità di considerare l'olio d'oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell'olivo. Onoravano i cittadini illustri con corone di fronde di olivo, così pure gli sposi il giorno delle nozze; i morti infine venivano inghirlandati per significare di essere vincitori nelle lotte della vita umana.
Nell'area islamica molte leggende fanno riferimento all'olivo e al suo prodotto; si ricorda la storia di Ali Babà e i 40 ladroni nascosti negli otri che dovevano contenere l'olio.






MITO DELLA CREAZIONE DEL PRIMO ALBERO DI OLIVO E DEL PRIMO CAVALLO

Tutto ebbe inizio quando a Zeus, in quel periodo sposo di Metis, fu predetto da Gea e da Urano che un giorno Metis avrebbe partorito due figli, il secondo dei quali lo avrebbe detronizzato. Zeus, spaventato da quella profezia e dato che Metis era incinta del loro primo figlio, decise di non correre rischi e la ingoiò. Il tempo riprese a scorrere sereno per Zeus che si era anche dimenticato della fine che aveva fatto fare alla moglie. Un giorno però iniziò a essere assalito da violentissime fitte alla testa. Non potendole sopportare chiese a Efesto di colpirlo in testa con il suo martello. Efesto si rifiutava di eseguire l'ordine in quanto non capiva cosa stesse succedendo ma date le urla e le insistenze di Zeus alla fine lo colpì violentemente in testa. Nel momento stesso in cui il suo martello toccò la testa di Zeus l'Olimpo tremò, i lampi sconquassarono il cielo e dal suo cranio uscì una densa nuvola nella quale si trovava una creatura, vestita con una lucente armatura, che teneva alla sua destra un giavellotto: era nata Atena (o Athena), la dea guerriera che si sarebbe contrapposta ad Ares personificazione della guerra brutale e violenta.
Atena manifestò presto le sue eccezionali doti non solo come guerriera ma anche come donna saggia a accorta. Infatti divenne ben presto anche la dea della ragione, della arti, della letteratura, della filosofia, del commercio e dell'industria. Era la personificazione della saggezza e della sapienza in tutti i campi delle scienze conosciute a alle donne insegnò anche a tessere, a tingere e a ricamare.Con il passare del tempo Atena chiese al padre che le fosse consacrata una regione della terra che la potesse onorare. Già da diverso tempo però Poseidone era in attesa che Zeus gli assegnasse una regione e fu così che tra le due divinità si accese una violenta disputa per avere il dominio sull'Attica.
Zeus, dato che non sapeva che fare decise allora di proclamare una sfida tra Poseidone a Atena: chi tra i due avesse fatto alla città il dono più utile, ne avrebbe avuto la supremazia e Cecrope* fu posta ad arbitro della contesa.
Quando la sfida iniziò alla presenza di tutti gli dei, Poseidone toccò con il suo tridente la terra e fece saltar fuori una nuova creatura che mai prima di allora si era vista, il cavallo che da quel momento popolò tutte le regioni della terra e divenne un grande aiuto per la vita dell'uomo. Atena, dal canto suo percosse il suolo con il suo magico giavellotto e in conseguenza di ciò scaturì dal terreno un albero di olivo.Cecrope, decise che fosse Atena la vincitrice e da quel giorno la capitale dell'Attica fu chiamata Atene in onore della dea. Da quel momento la vita iniziò a scorrere serena in Attica a Atena insegnava al suo popolo le scienze e le arti.


Cecrope era figlio di Gea che arrivò in Grecia dall'Egitto, sua terra natale, dove fondò la città che in seguito sarebbe stata chiamata Atene e della quale era re.

scrittura creativa

COMPLETARE UNA FAVOLA

Ti presentiamo la situazione iniziale e la morale di una favola di Esopo. Completa la favola scrivendo lo sviluppo e la conclusione. Attenzione: dovranno essere logici e soprattutto coerenti con la morale chiaramente espressa.

IL PAVONE E LA GRU
Il pavone rideva della gru e ne criticava il colore dicendo: «Io sono vestito di rosso e d'oro, ma tu non hai nulla di bello sulle ali». …………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..
È meglio essere mal vestiti, ma degni di ammirazione, piuttosto che vivere ingloriosa­mente, facendo vanto delle proprie ricchezze.
(da Favole, trad. di E. Ceva Valla, Rizzoli, Milano, 1989)


















IL PAVONE E LA GRU

Il pavone rideva della gru, e ne criticava il co­lore, dicendo: - Io son vestito di porpora e d'oro, ma tu non hai nulla di bello sulle ali.
- Ma io - rispose l'altra, - canto vicino alle stelle e volo nell'alto dei cieli. Tu, invece, come un galletto, giri per la terra in mezzo alle galline.
È meglio essere mal vestiti, ma degni d'ammi­razione, piuttosto che vivere ingloriosamente1, vantandosi delle proprie ricchezze.























CONTINUARE UNA FAVOLA AGGIUNGENDO UNA CODA

 Leggi la seguente favola di Fedro.
IL CORVO E LA VOLPE
Il corvo aveva rubato da una finestra un pezzo di formaggio; appollaiato sulla cima di un albero, era pronto a mangiarselo, quando la volpe lo vide e si mise a parlargli così: «Che lucentezza hanno le tue penne, corvo! Che nobile portamento è il tuo e che volto! Se avessi una bella voce, nessun uccello sarebbe superiore a te». Allora quello sciocco, mentre voleva esibire la sua voce, lasciò cadere dalla bocca il formaggio, che la volpe astuta fu pronta ad afferrare con i suoi avidi denti.

Ora continua la favola aggiungendo una «coda», cioè immaginando che cosa può succedere dopo. Ad esempio, puoi immaginare che il corvo, derubato del formaggio, decida di allearsi con alcuni suoi amici corvi per vendicarsi della volpe, così...
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CONCLUDERE UNA FAVOLA CON UN “FINALE A SORPRESA”
Leggi attentamente la seguente favola di Jean de La Fontaine che presenta un «finale a sorpresa». Quale potrebbe essere un altro «finale a sorpresa»? Inventalo tu.
IL LEONE E IL MOSCERINO
«Vattene, spregevole insetto, rifiuto della terra!» Così il leone parlava un giorno al moscerino. E il moscerino gli dichiarò guerra. «Tu pensi» gli disse, «che il tuo titolo di re degli animali mi faccia paura?» Disse queste parole e passò all'attacco. Per comin­ciare, gli girò al largo, poi piombò sul collo del leone, che divenne quasi folle: aveva la bava alla bocca, gli occhi gli scintillavano, ruggiva. Il piccolo moscerino bersaglia la belva in cento punti: ora gli pizzica la schiena, ora il muso, ora penetra nelle narici. L'infelice leone si strazia con i suoi movimenti rabbiosi, si frusta i fianchi con la coda, batte l'aria che non ha colpa di niente: il suo furore lo sfinisce, lo abbatte al suolo stre­mato. Il moscerino si ritira glorioso dal combattimento.

Finale a sorpresa
Il moscerino vola dappertutto ad annunciare la sua vittoria, e lungo la strada incontra l'imboscata di una ragnatela: così, è finita anche per lui.
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mercoledì 9 ottobre 2013

il cinque maggio.



Parafrasi

Egli non è più. Come immobile,
dopo aver esalato l’ultimo respiro,
rimase il corpo senza vita e senza memoria
privato di uno spirito così grande,
così colpita, stupefatta
la terra alla notizia della sua morte resta immobile,

ammutolita, pensando al momento
della morte dell’uomo mandato dal destino;
non sa quando una uguale
impronta di piede mortale
la sua polvere insanguinata
tornerà a calpestare.

Napoleone nel momento di gloria (sfavillante sul trono)
vide il mio genio poetico ma non parlò;
quando Napoleone con avvicendarsi incessante,
cadde, si risollevò e ricadde definitivamente
al suono di mille voci
(il mio genio) non ha mischiato la sua:

(il mio genio) è vergine da elogi servili
e da insulti vigliacchi,
(il mio genio) si leva ora commosso all’improvvisa
sparizione di una figura così radiosa;:
e innalza alla tomba un canto
che forse resterà immortale.

Dalle Alpi alle Piramidi
dal Manzanarre al Reno
di quell’uomo risoluto l’azione fulminea
seguiva immediatamente la decisione rapida;
la sua azione esplose da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mare.

Fu una vera gloria? Alle generazioni future
la difficile risposta: noi
ci inchiniamo a Dio,
che ha voluto su di lui
del suo spirito creatore
imprimere un segno più grande.

La tempestosa e trepidante
gioia di un grandioso progetto,
l’ansia di un animo che indomito
serve, pensando a comandare:
e lo raggiunge, e ottiene un premio
ch’era follia sperare di ottenere;

tutto egli provò: la gloria
più grande dopo il pericolo,
la fuga  e la vittoria,
la reggia (il potere) e il triste esilio:
due volte è stato sconfitto
due volte ha raggiunto il trionfo.

Egli si presentò alla storia: due secoli,
contrapposti,
si rivolsero a lui rispettosamente,
in attesa del loro destino;
egli fece silenzio, e come un arbitro
sedette in mezzo a loro.

E scomparve, e i giorni nell’ozio
concluse in un’isola così piccola,
bersaglio di un’invidia immensa
e di un profondo rispetto,
di odio inestinguibile
e di amore invincibile.

Come sul capo del naufrago
l’onda incombe vorticosa e grava,
l’onda su cui lo sguardo (la vista) dello sventurato,
poco prima scorreva alto e proteso, ad avvistare
invano lontani approdi;

così su quell’anima il cumulo
dei ricordi si abbattè!
Oh quante volte ai posteri
cominciò a narrare le sue memorie,
e sulle pagine eterne (anche nel senso di mai finite)
cadde la sua mano stanca!

Oh quante volte, al silenzioso
concludersi di un giorno trascorso nell’inerzia,
abbassati gli occhi brillanti,
le braccia conserti al petto,
rimase, e dei giorni passati
lo assalì il ricordo!

E ripensò agli accampamenti
spostati continuamente, e alle trincee nemiche colpite,
al muoversi fulmineo dei plotoni,
all’incalzare ondeggiante della cavalleria,
agli ordini concitati,
alla loro rapida esecuzione.

Ahi! Forse di fronte a tanto dolore
si smarrì il suo animo affannato,
e perse ogni speranza; ma provvidenziale
venne una mano dal cielo,
e in un’atmosfera più serena
pietosa lo trasportò;

e lo guidò per i fioriti
sentieri della speranza,
verso l’eternità, al premio
che supera ogni desiderio umano
dov’è silenzio e tenebre
la gloria del passato.

Immortale! Benefica
Fede abituata ai trionfi!
Scrivi anche questo trionfo, gioisci;
perché uomo più potente
mai si è chinato di fronte alla croce.

Tu Fede dalle spoglie mortali stanche
allontana ogni parola di condanna e di odio:
Dio che abbatte e resuscita,
che affanna e che consola con la misericordia
sul letto solitario
siede accanto a Napoleone,

mercoledì 2 ottobre 2013

il sabato del villaggio




IL SABATO DEL VILLAGGIO Giacomo Leopardi
   

      La donzelletta1 vien dalla campagna
      in sul calar del sole2,
col suo fascio dell'erba; e reca3 in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole4,
ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa5, il petto e il crine6.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno7;
e novellando vien del suo buon tempo8,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea9 danzar la sera intra di quei10
ch'ebbe compagni dell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna11,
torna azzurro il sereno12, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti13,
al biancheggiar della recente luna14.
Or la squilla dà segno15
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta16.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta17,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore18;
e intanto riede alla sua parca mensa19,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo20.

Poi quando intorno è spenta ogni altra                       
e tutto l'altro tace22,                          [face21
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol23, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna24,
e s'affretta, e s'adopra
di  fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba25.

Questo26 di sette è il più gradito giorno,
pien di speme27 e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore28, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno29.

Garzoncello scherzoso30,
cotesta età fiorita31
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita32.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta33.
Altro dirti non vo'34; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave35.








1:la fanciulla
2: all’ora del tramonto
3: porta
4:con il quale, nel modo in cui è solita(suole) fare
5: ella si prepara a ornare domani, nel giorno di festa
6: i capelli
7: rivolta a occidente, verso il tramonto
8: raccontando (novellando) del suo tempo felice, la giovinezza
9: era solita
10: insieme a quelli
11: si fa scura
12: il cielo torna ad essere azzurro
13: e le ombre, scomparse dopo il tramonto, riappaiono dai colli e dai tetti
14: sotto la luce della luna appena sorta
15; ora la campana (squilla) annuncia
16: si consola
17: in gruppo
18: un chiasso gioioso
19: ritorna (riede) alla sua povera cena
20: pensa fra sé e sé alla giornata seguente in cui si riposerà
21: luce
22: e ogni cosa è immersa nel silenzio
23: del falegname
24: alla luce del lume
25: si sforza (s’adopra) di terminare il lavoro (l’opra) prima che ritorni la luce del giorno
26: il sabato
27: speranza
28: domani le ore porteranno tristezza e noia
29: ciascuno tornerà con il pensiero al lavoro abituale
30: fanciulletto allegro
31: la fanciullezza
32: anticipa l’età adulta
33: la giovinezza è una condizione dolce e gioiosa
34: non voglio dirti altro
35: ma non ti dispiacere (non ti sia grave) se la festa della tua vita tarderà ad arrivare

ESERCIZI
1.      In quale luogo e in quale momento della settimana si svolge la scena descritta da Leopardi?
2.      Riassumi brevemente le azioni compiute dai diversi personaggi presenti nel testo spiegando quale elemento li accomuna.
Donzelletta…
Vecchierella…
Zappatore…
Falegname…
Elemento in comune…
3.      Quali suoni e rumori rendono più ricca e vivace la descrizione che il poeta fa del villaggio?
4.      Nell’ultima strofa della poesia Leopardi si rivolge a un interlocutore immaginario: chi è? Che cosa rappresenta?
5.      A quali elementi dell’esistenza umana corrispondono simbolicamente il sabato e la domenica?
6.      La poesia si divide in una parte descrittiva  e in una riflessiva. Quali versi sono dedicati alla descrizione e quali alla riflessione?
7.      Leggendo questa poesia ti sarai accorto della sua grande musicalità: questa è dovuta, oltre che a un uso sapiente dei versi endecasillabi e settenari, all’uso ricorrente di assonanze e allitterazioni. Individuane alcune.
8.      Spiega la metafora presente nell’espressione “età fiorita”.
9.      Confronta  Il sabato del villaggio con Il passero solitario e indica se le affermazioni che seguono sono vere [V] o false [F]
  • Entrambi i testi sono ambientati a Recanati.
  • In entrambi Leopardi contrappone la giovinezza alla vecchiaia.
  • Le due poesie esprimono una diversa concezione dell’infelicità umana.
  • Solo nel Sabato del villaggio viene descritta la vita degli abitanti di Recanati.
10.  Pensi anche tu, come il poeta, che il sabato sia “il più gradito giorno” e che la domenica porti con sé “tristezza e noia”, o hai un’opinione diversa? Spiega il tuo punto di vista descrivendo come trascorri di solito queste due giornate.


La fanciulla (la donzelletta – diminutivo arcaico) ritorna dalla campagna [torna dal lavoro nei campi] al tramontar del sole (in sul = verso il), portando un fascio d’erba e tiene in mano un mazzolino di rose e di viole (ha l'erba per le bestie, come tutti i giorni, ma in mano ha viole e rose come segno della festa), delle quali (onde), come è solita (suole), si prepara a ornare l'indomani, giorno di festa, il petto e i capelli (crine).
[Alla baldanza giovanile della donzelletta viene contrapposta la quiete della vecchierella]
Intanto sulle scale (i gradini dell'uscio di casa) siede con le vicine la vecchierella a filare, rivolta là (
incontro là) dove tramonta il sole e racconta (novellando vien = raccontando con tono di fiaba)  della sua giovinezza (suo buon tempo - metafora), quando anch’ella si preparava la domenica e ancora giovane e bella era solita (solea, torna l'idea della cara abitudine) andare a ballare con coloro che erano giovani come lei (ebbe compagni nell’età  più bella – “età più bella” è metafora).
Ormai (
già, esprime il rapido volgere della sera) inizia a scurire (l’aria imbruna), il cielo (il sereno) torna azzurro (metonimia), e al biancheggiare della luna appena sorta (recente luna) ritornano giù dai colli e dalle case le ombre (dopo che erano sparite al tramontare del sole tornano a disegnarsi per terra). Ora la campana (la squilla) dà segno della festa che sta arrivando (metonimia); e a quel suono, si direbbe (diresti, con valore impersonale) che il cuore si consola (si riconforta: per un momento dimentica i suoi mali).
I fanciulli (sono i primi a gioire della festa tanto attesa) gridando in gruppo (
in frotta) sulla piazzola, e saltando di qua e di là fanno un rumore allegro (lieto – perché suscita gioia); e intanto il contadino torna (riede forma arcaica che suggerisce l’impressione del camminare lento e cadenzato di chi è stanco) alla sua  povera casa (parca mensa), fischiettando (in segno di letizia lui pure) e fra sé e sé (seco) pensa al giorno del suo riposo.

Poi quando intorno tutti i lumi (face - latinismo) sono spenti e tutto è silenzio (tace – face/tace è rima baciata), senti (odi...odi, anafora) il martello picchiare, senti la sega del falegname, che  sveglio nella sua bottega chiusa, alla luce della lucerna, si affretta e si adopera per finire il lavoro (fornir l'opra) prima della luce dell’alba.

Questo è il giorno [il sabato, che si è appena concluso] più gradito della settimana (di sette), pieno di speranza (speme) e di gioia: domani le ore porteranno tristezza e noia, e ognuno tornerà col pensiero (in suo pensier farà ritorno) alla fatica di tutti i giorni (il travaglio usato).
Ragazzo (Garzoncello, l'uso del diminutivo indica affetto) allegro/scanzonato (scherzoso), questa giovinezza (età fiorita - metafora) è come un giorno pieno di felicità (similitudine), luminoso, sereno, che precede la maturità (festa di tua vita - metafora, dunque la fanciullezza è simile al sabato, che promette gioia, la maturità alla domenica, in cui ogni illusione svanisce).
Godi o fanciullo [quanto puoi] della giovinezza; questa è una condizione (
stato) beata, un’età gioiosa (stagion lieta - metafora).
Non voglio dirti altro; ma non ti pesi che la tua festa tardi ancora a venire [cioè non aver fretta di crescere].
Commento: : Il sabato del villaggio, scritto da Giacomo Leopardi nel 1829 a Recanati, fa parte dei "grandi idilli" e, come tale, si evidenziano da subito in tutto il componimento i temi della rimembranza e dell'evanescenza della giovinezza. Il tema predominante del componimento è rievocare "l'età fiorita", tema che peraltro si ritrova in altri idilli come in A Silvia, dove la ragazza è personificazione stessa della gioventù che sfiorisce. L'autore invita a non aspettarsi felicità dal futuro, perché come la domenica deluderà l'attesa del sabato, così la vita deluderà i sogni della giovinezza. Leopardi, quindi, ritiene di non doversi aspettare niente, in modo da non essere mai delusi.
Il poeta in questa lirica parla della vita che si conduce di sabato nel suo villaggio. Si può suddividere la poesia in due parti:
  1. prima parte : descrittiva in cui regna l'allegria per i giorni di festa e successivamente il silenzio rotto dagli strumenti del falegname. I primi versi, infatti, oppongono la gioia ed il giorno alla serenità del sonno;
  2. parte finale: riflessiva dove il poeta guarda al domani quando la quotidianità infonderà il tedio e riflette sulla fugacità della giovinezza.
Negli ultimi versi il poeta oppone l'oggi spensierato, metafora della giovinezza, al domani, simbolo della noia e della vecchiaia.
Forma metrica: Canzone libera. Settenari e endecasillabi si alternano e vi sono due versi non rimati (41 e 43).
Parallelamente alle tematiche il ritmo nei primi versi è più incalzante, scorrevole e spensierato, mentre diventa in chiusura, più pacato ed incline alla meditazione. Il ritmo agile e mosso è reso efficacemente attraverso l’utilizzo dei settenari, mentre il ritmo più lento è reso dall’endecasillabo.
Sono presenti numerose figure retoriche, oltre a quelle evidenziate nel testo a fronte della poesia, vi sono: Litote: "altro dirti non vo'" con la quale Leopardi esprime l'intenzione di non demoralizzare i giovani. Climax: I personaggi realizzano un climax prima crescente dopo decrescente: la donzelletta (gioventù) - la vecchierella (vecchiaia) - lo zappatore (età matura) - il garzoncello (gioventù).
Si possono notare inoltre, nella prima parte della poesia, allitterazioni con doppie (donzelletta, mazzolin, vecchierella, novellando, sulla, bella, colli...) o con dittonghi (giorno, chiaro, ciascuno, gioia, stagion, pien, pensier, lieta), o con ripetizione degli stessi suoni (in sul calar del sole; siccome suole).
L'uso dei diminutivi (donzelletta, vecchierella, garzoncello) denota la tenerezza del poeta verso i suoi personaggi, in particolare per gli adolescenti.


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