venerdì 19 ottobre 2012

Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira.





In questo sonetto viene messa in evidenza la contrapposizione tra la superiorità della donna che, avanzando, fa tremare persino l’aria intorno a sé, e la difficoltà, l’impotenza dell’uomo che vorrebbe descriverla, ma non ne è capace di fronte a tanta bellezza e nobiltà.
Tale incapacità viene evidenziata a livello stilistico: la prima quartina si presenta in forma interrogativa  ed esprime lo stupore per la donna che conduce con sé Amore. Nei versi successivi prevalgono espressioni di negazione per sottolineare ciò che l’uomo non è in grado di fare di fronte alla donna. L’autore considera l’amore come la massima opportunità che l’uomo ha di nobilitarsi, ma lo vede anche come un’esperienza tragica perché,in quanto passione, la ragione è incapace di dominarlo. Di grande rilevanza quindi il ruolo delle negazioni. I due ultimi periodi del sonetto (corrispondenti alle due terzine) iniziano con l’avverbio “non”; in due casi la negazione si riferisce al verbo “contare”: ne risulta una forte insistenza sull’impossibilità, per la parola poetica, di descrivere adeguatamente l’apparizione della donna. Con questa enunciazione di una poetica dell’ineffabile, Cavalcanti si colloca agli antipodi di Guinizzelli
L’argomento centrale, già guinizzelliano,  è la sublimazione e la lode della donna; la donna è una creatura superiore in grado di essere al di sopra delle menti umane e di modificare nel poeta la visione delle altre donne. Sono molti, sia sul piano tematico che su quello formale i riferimenti a “Io voglio del ver la mia donna laudare”. Sono presenti delle differenze, infatti, se è vero che la donna appare come una figura superiore, più che apparire come un vero e proprio angelo, la donna è qui presentata come una manifestazione sensibile dell’“umiltà” e della “beltate”: manifestazione dunque di due “virtù”, di altissimi ideali. L’apparizione della donna ha, a ben vedere, conseguenze paradossali. Da un lato essa è la manifestazione sensibile di un mondo ideale e perfetto, che può essere conosciuto solo intellettualmente. Dall’altro però proprio la sua apparizione impedisce all’uomo di trascendere la percezione sensibile, di elevarsi alla conoscenza intellettuale della “umiltà” e della “beltate”. È questa appunto l’eterna sconfitta dell’uomo innamorato: egli deve confessarsi incapace di conoscere queste “virtù” proprio nel momento in cui, in qualche modo, le “vede”.Appare chiaro che l’uomo sia destinato a questa sconfitta. In primo luogo, ce lo dimostra l’insistenza sull’impossibilità di rappresentare adeguatamente con la parola l’apparizione della donna: dapprima (vv. 3-4) essa toglie la parola agli uomini che la vedono; poi (v. 6) il poeta proclama la sua personale impossibilità di descrivere (“contare”) la sensazione prodotta dal suo sguardo; infine (v. 9) l’impossibilità di “contare” non è più solo dell’io lirico, ma diviene universale (“Non si poria contar”).
E’ un sonetto con rime incrociate, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC.
Sul piano lessicale, è da notare il frequente ricorso a sostantivi astratti (il latinismo “chiaritate”, “umiltà”, “ira”, il provenzalismo “piagenza”, e poi “virtute”, “beltate”, “salute”, “canoscenza”).
È presente un enjambement (vv. 3-4)
Livello retorico: personificazione dell'amore, paragone della donna con tutte le altre.

lunedì 15 ottobre 2012

POESIA "Io voglio del ver la mia donna laudare"

Analisi del sonetto: 
"IO VOGLIO DEL VER LA MIA DONNA LAUDARE ".
E' un sonetto, due quartine e due terzine, e i versi rimano secondo lo schema ABAB, ABAB, CDE, CDE
In questo sonetto l'incontro con la donna e il saluto di lei forniscono  l'occasione per lodare l'amata. E la lode della donna avrà, nel Dolce Stil Novo e in Dante, importanza capitale. Tipicamente stilnovistica l'associazione di lodi fisiche (nelle quartine) e di lodi spirituali e interiori (nelle terzine).
La donna si colloca insomma in un punto decisivo di equilibrio e di mediazione tra il mondo naturale, concepito nelle sue manifestazione più splendide, e il mondo interiore, psichico e morale insieme, la donna è superiore alla natura in bellezza e in perfezione.
La donna: rende umili, converte alla fede e non lascia pensare al peccato.
Il senso più utilizzato nel sonetto è la vista. 
La tipica allegoria del Dolce Stil Novo mostra qui bene i propri ingredienti culturali: la tradizione della lirica d'amore cortese e quella siciliana. Tipicamente provenzale il riferimento alla stella diana.
Il sonetto è incentrato su tre temi: la lode, la salute e la gentilezza, che sono parte integrante dell'animo della donna. Questa è descritta come la summa di tutte le bellezze del creato, come colei che porta salute, la sua bellezza è virtù di redenzione, uno strumento di salvezza per l'uomo.
SALUS = salvezza, il saluto della donna dona salvezza.
L'amore viene personificato per rafforzarne l'immagine ed è inteso come virtù e perfezione morale.
Al verso uno, compare “donna”, che viene però considerata nella lingua latina domina, per cui “donna” come “mia padrona” e quindi compare un tema fondamentale del Dolce Stil Novo: quello della gerarchia amorosa, ossia una sottomissione dell'uomo all'amata. 
Un altro latinismo si può trovare sempre al verso uno con “laudare” dal verbo laudo.
Se ci si sposta ai versi 9 e 12 si può sottolineare una differenza tra “gentile” e “vile”, parole chiave dello Stil Novo, per cui un uomo vile non potrà mai essere gentile (e quindi amato) e viceversa.
Infine ci si può soffermare al verso 13, “vertute” che deriva da virtus, virtutis che significa forza; rappresenta la forza spirituale della donna che sovrasta qualsiasi cattivo pensiero.
Nella poesia sono presenti molte similitudini.
A differenza del medioevo la donna non è più causa del peccato ma è un angelo, la donna viene idealizzata.