martedì 23 ottobre 2012

tanto gentile e tanto onesta pare



Temi e motivi
Chi non conosce l'amore di Dante per Beatrice, l'amore più famoso della letteratura italiana sbocciato a Firenze negli ultimi decenni del Duecento? Un amore cantato da Dante secondo quel raffinatissimo galateo amoroso del Dolce Stil Novo come in questo celebre sonetto dove un episodio di vita quotidiana, ambientato per le strade di una Firenze medievale, si trasfigura presto in apparizione ultraterrena, non più donna ma angelo, Beatrice diventa la prova dell'esistenza di Dio, autentico miracolo in terra (...e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare).
Unico fra i cinque sensi capace di cogliere lo spettacolo offerto da questa apparizione celeste è la vista: la bellezza, la nobiltà, l'umiltà della donna sono tali che gli spettatori restano ammutoliti. In una simile atmosfera incantata risulta evidente che l'amore di Dante per Beatrice altro non è che un mezzo di elevazione spirituale. La donna, priva di connotati fisici e di attributi terreni, diviene il tramite per raggiungere Dio. E' evidente che il sonetto è intriso di profonda religiosità in quanto in tal modo, Dante e gli stilnovisti conciliano l'amore terreno con quello divino. Nel sonetto a rime incrociate (composto da due quartine e da due terzine, le scelte lessicali sono fatte per per creare la giusta atmosfera del dolce stil novo) non viene descritto l’aspetto fisico di Beatrice, per renderla spirituale e capace di migliorare gli altri avvicinadoli a Dio.Gli altri, trovandosi al cospetto di lei, subiscono cambiamenti fisici e psicologici: ammutoliscono, abbassano lo sguardo, provano ammirazione e meraviglia. Anche i verbi “mostrasi” e “pare” sono utilizzati per eliminare quella fisicità della donna e renderla spirituale, degna di contemplazione.
Aspetti metrico-stilistici
Si tratta di un sonetto formato da quattordici endecasillabi divisi in due quartine e due terzine. Le rime sono incrociate nelle quartine (ABBA) e invertite nelle terzine (CDE-EDC). Particolarmente interessante l'allitterazione presente nel primo verso dove la ripetizione del termine "tanto" oltre ad una funzione musicale, ha anche quella di accentuare la funzione della donna. Da notare, inoltre, che non sempre il verso coincide con l'enunciato logico, come nei versi 1-2 dove per comprendere la frase bisogna passare al verso successivo. Questo procedimento detto enjambement consente particolari effetti espressivi, come in questo caso dove consente di attirare subito l'attenzione del lettore su due aggettivi "gentile" ed "onesta" che meglio caratterizzano le qualità di Beatrice (donna) quando saluta. Ci sono enjambements anche tra il 7-8 verso, il 12-13 verso. Il testo affida molti dei suoi effetti all’uso delle proposizioni consecutive: il sentimento d’amore, non viene espresso in forma diretta ma soltanto attraverso l’analisi di alcune reazioni che esso provoca nel “cor gentile”. La frequenza, infine, della congiunzione coordinante «e» conferisce al testo il ritmo lento tipico della contemplazione estatica. L'intercedere della donna tra gli uomini e gli effetti mirabili che ella produce erano stati già trattati all'esempio da Guinizzelli nel sonetto "Io voglio del ver la mia donna laudare" e da Cavalcanti in "Chi e' questa che ven?"

La Vita Nuova (1292-4) fu scritta quando Dante era già sposato con Gemma Donati dal 1285. Il matrimonio era stato combinato dalle rispettive famiglie: Dante aveva solo 12 anni e Gemma apparteneva a una delle famiglie guelfe più illustri di Firenze. Ma la Vita Nova è dedicata a Beatrice. Quando al secondo verso parla di "donna mia" egli può riferirsi a Beatrice (Bice di Folco Portinari) solo poeticamente, non solo perché entrambi erano già sposati coi relativi consorti ma anche perché Beatrice era già morta di parto nel 1290, a soli 24 anni.Nella Vita Nuova Dante dice di aver visto Beatrice solo due volte: a nove e a diciotto anni. Quando lei morì, lui, disperato, si mise a studiare filosofia e si rifugiò nella lettura di testi latini, scritti da uomini che, come lui, avevano perso una persona amata. La fine della sua crisi coincise con la composizione della Vita Nuova (intesa come "rinascita").
Nella Divina Commedia Beatrice subisce un processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta come creatura angelica (secondo gli ideali stilnovistici): rappresenta la fede che accompagna Dante nel paradiso.
Che Beatrice sia stata per buona parte il frutto della fantasia di Dante è documentato anche da un Canto di un poeta provenzale, Raimbaut,  vissuto, prevalentemente in Italia, circa un secolo prima di Dante e che canta di Donna Beatrice nella penultima strofa in modo molte simile a quello di Dante. Dante, che conosceva il provenzale e i poeti provenzali, quasi cento anni dopo scrive di Beatrice: "Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia ...". L'incipit è identico, il sentimento che muove i poeti è lo stesso, gli echi stessi che il canto del provenzale sembra evocare si possono ritrovare nei versi di Dante. La critica ha visto in Beatrice una donna angelicata. Avrebbe anche dovuto vedere un intellettuale che stava sognando una città diversa da quella in cui viveva. Una città i cui valori dominanti non fossero quelli del denaro, della carica prestigiosa, del successo personale, ma appunto dell'onestà, della gentilezza, dell'umiltà, che al massimo potevano incarnarsi in una donna, ancora cristiana, certo non in un uomo, divenuto borghese.
Un intellettuale che non sa trovare il modo per migliorare i rapporti borghesi della sua città se non proponendo a modello una donna semplice, umile, che paradossalmente dovrebbe continuare ad avere ideali del mondo rurale pur essendo figlia e moglie di uomini dell'alta borghesia. Qui Beatrice assume le sembianze di Arrigo VII, un'altra utopia in cui ingenuamente credeva il Dante politico.
 

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