domenica 21 ottobre 2012

Pakistan, gli studenti sfidano i Taliban Di VITTORIO ZUCCONI



Pakistan, 10 milioni di studenti pregano per Malala

In ginocchio per Malala dieci milioni pregano davanti alle sue foto

Pakistan, gli studenti sfidano i Taliban
Di VITTORIO ZUCCONI


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Pakistan, 10 milioni di studenti pregano per Malala

In ginocchio per Malala dieci milioni pregano davanti alle sue foto

Pakistan, gli studenti sfidano i Taliban
Di VITTORIO ZUCCONI


E’ UNA piccola luce di speranza accesa nella stanza dell’ospedale pakistano nel quale Malala Yousafzai cerca, a 14 anni, di sopravvivere ai talebani che volevano ucciderla, e che sta accendendo milioni di candeline.



S
PERANZA per lei, prima di tutto, ma per chiunque, a Oriente come a Occidente, voglia ancora credere che la sepa­razione fra fede religiosa e legge ci­vile, e l'eguaglianza di ogni cittadi­no senza distinzione di genere, sia l'essenza di quella che noi chia­miamo libertà. L'attentato com­piuto da un gruppo di fondamentalisti Taliban che l'hanno fermata su uno scuolabus nella valle dello Swat, identificata e colpita con due pallottole perché aveva osato di­fendere in pubblico il diritto delle bambine ad andare a scuola po­trebbe fare, insieme con la ancora fragile quando miracolosa soprav­vivenza di Malala, quello che mi­gliaia di milioni di dollari buttati, migliaia di morti, migliaia di missili e bombe non hanno saputo fare.
Mettere cioè noi, portatori vio­lenti di diritti ai quali giuriamo di credere, e il mondo islamico in uno dei suoi snodi più cruciali, il Pakistan nucleare, di fronte a una scel­ta. Se ripiombare nell'inferno dei Mullah Omar, dei Bin Laden, degli ayatollah sciiti, dei cosiddetti «martiri» vestiti di tritolo o fare un enorme balzo in avanti ricono­scendo almeno che nessun Dio e nessun Libro possono rinchiudere le donne nei recinti della ignoran­za.  O costringere altri a compor­tarsi secondo dogmi che non rico­noscono.
Malala sta pesando più di una battaglia perduta, per i dementi dell'integralismo religioso, più di quegli aerei senza pilota, i droni, che danno l'illusione di poter combattere un'organizzazione capillare di assassini con il teleco­mando. Nove milioni e mezzo di studenti (in 15mila scuole del Paese, molti anche in Afghanistan) so­no stati raccolti in Pakistan da al­tre organizzazioni religiose, scuole coraniche, predicatori, per invocare la misericordia di Allah per Malala, per testimoniare che il lo­ro non può essere lo stesso Signo­re dell'Universo che vuole am­mazzare una ragazzina per impe­dirle di parlare e di studiare. Le candele, che fedeli di ogni religio­ne accendono da secoli per illumi­nare la propria via nei momenti di disperazione e di paura, sono le stesse «Candele Gialle» che un grande scrittore cattolico, lo scozzese Bruce Marshall, vide accen­dersi nella Parigi sconvolta alle soglie dell'invasione nazista, come segno di speranza. Non c'è luce più antica ed eloquente di una cande­lina accesa, per sfidare l'oscurità del momento. Malala, osano dire i suoi tentati assassini attraverso un portavoce,  Sirajuddin Ahmad, «se l’era cerca­ta». Era stata «vittima di lavaggio del cervello» imposto dal padre, Ziauddin, che l’aveva spinta ad andare a scuola nella valle dello Swat, verminaio di Taliban ben radicati. Le aveva insegnato a usare il computer e a tenere un blog nel quale la sciagurata sosteneva empietà quali «avere il diritto di studiare, il diritto di giocare, il diritto di canta­re, il diritto di andare al mercato. E il diritto di parlare». È proprio la elementarità di questi «diritti», che noi diamo per acquisiti irreversibilmente dopo la rivoluzione Illuminista e non lo sono affatto, a misurare l'enormità di quello che il fondamentalismo, oggi soprat­tutto islamico, rappresenta.
Ma, come dimostrano undici anni di una guerra in Afghanistan che oggi nessuno, non alla Casa Bianca, non fra gli aspiranti al go­verno, non nella Nato o all'Onu sa davvero come finire, l'abisso non può essere colmato spalando spe­dizioni militari, soldi, morti e quei «danni collaterali» a colpi di droni che infiammano di giusta collera proprio coloro che si vorrebbero moderare. Se armi e spedizioni punitive bastassero, non si spie­gherebbe perché, undici anni do­po l’11 settembre, la presa del fa­natismo Taliban stia stringendosi, e non allentandosi, sull'Afghani­stan e sul Pakistan occidentale. Se qualcosa potrà muoversi, soprattutto in una nazione come il Pakistan che—mentre il mondo si ar­rovella attorno all'ipotesi che l'I­ran possa costruire un giorno la sua prima Bomba — già possiede almeno 100 testate atomiche e i mezzi per lanciarle, dovrà essere dentro, non fuori.
Sono i casi come questo di Ma­lala che possono scuotere la crosta dell'allucinazione mistica dall'in­terno e il potere politico dell'estremismo, così come sono le donne, assistite da genitori, da padri, da fratelli che rifiutano di vederle trattate come subumane, che dovran­no ribellarsi a un'interpretazione clericale della propria fede, scritta a misura e per comodità dei ma­schi. Le «candele gialle» accese at­traverso il Pakistan, come nella Parigi del 1940, sono una lucina an­cora fioca, come la vita della ragaz­za che ha il cinquanta per cento di probabilità di uscire dal coma, ma inestinguibile. «Non potranno zit­tire tutte le quattordicenni che vogliono andare a scuola e cantare» aveva scritto Malala nel suo blog, profeticamente. Ma la luce di quel lumino, se diventasse un falò, an­drebbe vista anche da lontano, magari da quella nazione che si era riservata lì diritto sovrano di «esportare la libertà e la democra­zia». E che invece rischia di ricade­re, se i «piccoli Taliban» della de­stra fondamentalista si impadro­nissero della Casa Bianca e della Corte Suprema nello stesso fossato dal quale vorrebbe salvare gli altri.

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