venerdì 27 aprile 2012

introduzione all'Eneide


Roma conquista la Grecia Nel 148-146 a.C. Roma inizia la conquista della Grecia nel 27 a.C. diventa provincia romana.  Sono passati mille anni dalle vicende dell’Iliade e dell’Odissea, Roma ha esteso i suoi domini ed è diventata una grande potenza economica e politica. Roma si lascia conquistare dalla evoluta e raffinata cultura greca, dalla sua letteratura e dalla sua arte
Le caratteristiche dell’epica latina. Mentre i classici greci hanno le loro radici nella tradizione orale, l’epica latina nasce in un contesto culturale in cui la scrittura è molto diffusa e chi compone versi sa che essi verranno letti e non soltanto recitati
Il disegno politico di Augusto. Siamo nel I secolo a.C., a Roma, Ottaviano Augusto ha posto fine alle guerre civili, ha rafforzato il rispetto di alcuni valori tradizionali, ma ha anche consolidato il proprio potere, modificando le precedenti istituzioni repubblicane e assumendo il titolo di imperatore 23 a.C.. Il suo è un disegno politico grandioso che ha bisogno di appoggio anche da parte del mondo culturale. L’imperatore deve apparire come l’uomo voluto dal destino, discendente da una famiglia da sempre votata a grandi gesta.
Le virtù del popolo romano.La città di Roma deve essere riscattata dalle sue origini umili e oscure, così come ha da essere esaltata la grandezza del popolo romano, riposta in alcune semplici e fondamentali virtù: l’attaccamento alla famiglia e alla patria e un elevato senso del proprio dovere, che va compiuto al di là di ogni sacrificio.
Un poema epico celebrativo Augusto chiede perciò al poeta mantovano Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.), a cui è legato da un rapporto di intima amicizia, di comporre un’opera in cui siano rispecchiati tutti i valori della civiltà romana. Virgilio predilige cantare il mondo della natura e non ama trattare le gesta di grandi eroi. Tuttavia accetta il compito di co0mporrre un poema epico e celebrativo perché apprezza sinceramente l’operato di augusto e crede nelle sue capacità di assicurare una situazione di pace universale e duratura. L’Eneide ha lo scopo di celebrare le personalità e gli eventi storici che hanno contribuito a rendere Roma una grande potenza
Un’antica leggenda Nell’affrontare la propria materia narrativa, Virgilio prende spunto da una materia preesistente, che vuole Roma fondata dai discendenti della nobile civiltà troiana, in seguito al trasferimento nel Lazio di un gruppo di esuli guidati da Enea.
Il figlio dell’eroe troiano, Iulo, sarà il capostipite della famiglia Giulia, che vanterà tra i suoi discendenti Giulio Cesare e lo stesso Ottaviano Augusto
Il modello omerico Nel comporre il proprio poema, Virgilio ha sicuramente tenuto presente i modelli greci: dei dodici libri che compongono l’Eneide, sei ricalcano in qualche modo l’Odissea, con il racconto delle peregrinazioni di Enea per i mari, mentre gli altri sei narrano la lotta sostenuta dai Troiani al loro arrivo nel Lazio e si ricollegano idealmente all’Iliade. Il legame con i poemi omerici è pero solamente formale, perché l’opera del poeta latino trae ispirazione da sentimenti diversi  e da altre convinzioni
Una nuova immagine dell’eroe Particolarmente significativa è, a questo riguardo, le figura del protagonista Enea, ormai lontano dagli eroi dell’Iliade, agitati dalle loro violente passioni, ma anche dall’Ulisse dell’odissea a cui è apparentemente legato da un comune destino di peregrinazioni per i mari. In Enea non vi è curiosità, sete di conoscenza, esaltazione nell’affermare la propria intelligenza e il proprio valore. L’eroe di Virgilio è più malinconico e pensoso, staccato dalle passioni, interamente assorbito dal proprio compito di portare a termine una missione voluta dal destino. Sa navigare e combattere, ma la sua virtù specifica è la pietas, un sentimento che per i romani significava devozione religiosa, rispetto della famiglia e degli antenati, accettazione del dovere, tolleranza e umanità verso i deboli e i   vinti, e soprattutto la capacità di anteporre il bene collettivo ai propri desideri.. L’epiteto con cui il poeta definisce Enea è pius (pio). Enea è un eroe del fato, è un antieroe: no sceglie di seguire i propri desideri in nome di una volontà superiore, contro cui non deve e non vuole combattere.
Gli dei della casa Nella civiltà latina il legame fra parenti era molto importante, tanto da essere regolato dalle leggi dello Stato e dalla pratica religiosa; le religione infatti, assegnava un posto speciale alle divinità che proteggevano la famiglia e la comunità: i Penati, i Lari e la Vesta. La leggenda voleva che fosse stato proprio Enea a introdurre il culto dei più eminenti fra questi dei, i Penati, portandone con sé le statuette votive durante la fuga da Troia. Vesta. A Roma la dea protettrice della casa, del focolare domestico e della patria, era considerata una divinità molto importante. Il culto di Vesta a cui si dedicavano le vestali, consisteva principalmente nel conservare sempre acceso il fuoco sacro che bruciava nel tempio dedicato alla dea. I Lari. Nel culto romano, i Lari erano le anime dei defunti che rimanevano legate alla casa in cui avevano vissuto, proteggendola; venivano loro dedicate statuette votive, che li rappresentavano come adolescenti che reggono nella mano un corno dell’abbondanza. Esse non venivano più mosse: quando la famiglia lasciava la casa, infatti, mentre portava con sé i simulacri dei Penati, abbandonava quelli dei Lari. Dopo i banchetti era usanza riporre gli avanzi in piccoli piatti, affinché i lari potessero cibarsene.
I Penati. Erano   divinità che i Romani consideravano protettrici della famiglia, alla quale assicuravano benessere e prosperità, le loro statue che li raffiguravano come due giovani seduti, erano custodite in un armadio riposto nei “penetrali”, cioè nella parte più interna della casa. Anche lo stato considerato come una sorte di grande famiglia, costituita dai cittadini, aveva i suoi penati, dapprima conservati nel tempio di Vesta, in seguito posti in un tempio proprio.

ENEIDE riassunto.



I libro: compaiono già i personaggi e i temi principali dell'opera, che inizia con la descrizione della tempesta provocata dalla dea Giunone, la quale, accanendosi contro Enea e i suoi seguaci che erano partiti dalla Sicilia alla volta delle coste italiane, li costringe a naufragare sul costa africana. Qui trovano rifugio e ospitalità presso la regina Didone, occupata nella costruzione di Cartagine, dopo essere stata costretta all'esilio dalla città fenicia di Tiro.
II libro: Enea, durante un banchetto, riferisce alla regina Didone della distruzione di Troia, soffermandosi su episodi più violenti come le uccisioni di Laocoonte, Polite e Priamo. Su ordine di Venere, Enea è riuscito a fuggire dalla città in fiamme portando con sé il padre Anchise, il figlio Ascanio, i sacri Penati ed un gruppo di seguaci, con i quali dovrà fondare una nuova Troia.
III libro: Enea continua il suo racconto a Didone, descrivendo sia episodi dolorosi e violenti (come quelli di Polidoro, delle Arpie e di Polifemo) con altri più dolci e tristi (l'incontro con Andromaca e la morte del padre Anchise). In questo stesso libro si narra anche della profezia ricevuta dagli esuli troiani, a Delo, da parte dell'oracolo di Apollo, che li incita ad andare in cerca dell'Italia per compiere la loro missione.
IV libro: è incentrato sulla tragica vicenda d'amore di Didone, che si è innamorata di Enea e si sente tradita quando egli abbandona l'Africa, perché incalzato da Giove a completare il suo viaggio. La regina, allora, decide di suicidarsi, non prima però di aver maledetto Enea e il suo popolo, profetizzando eterna guerra tra i Cartaginesi e i discendenti dei Troiani, cioè i Romani.
V libro: è completamente dedicato alla descrizione dei giochi funebri per il primo anniversario della morte di Anchise  si conclude con il triste racconto della morte del nocchiero Palinuro, caduto di notte in mare, dopo essersi addormentato durante il viaggio verso l'Italia.
VI libro: arrivato a Cuma, in Campania, Enea viene accompagnato dalla Sibilla giù nell'oltretomba, al di sotto del lago d'Averno. Nei Campi Elisi incontra l'ombra di Anchise, che rivela al figlio che è stato scelto dagli dei per fondare l'Impero di Roma.
VII libro: giunto nel Lazio, Enea incontra il re Latino, che gli promette in sposa la figlia Lavinia. Questa però era già stata promessa in matrimonio al re dei Rutuli, Turno che, grazie anche alla complicità della moglie del re Latino, prima fa in modo che si rompa il patto nuziale e successivamente incita la formazione di un'alleanza contro gli esuli troiani, dando così inizio alla guerra.
VIII libro: Enea si trova in difficoltà a causa dell'eccessiva potenza delle forze nemiche, ripercorre il Lazio e proprio nel luogo dove sorgerà Roma, riceve aiuti dal re degli Arcadi, Evandro, che ordina al figlio Pallante di mettersi al comando di un piccolo esercito al fianco dei Troiani. Nel frattempo, su ordine di Venere, Vulcano fabbrica le armi di Enea, tra cui uno scudo decorato con le future magnificenze di Roma.
IX libro: in gran parte di questo libro troviamo la descrizione dell'assedio del campo troiano durante l'assenza di Enea e soprattutto spicca l'episodio dei giovani troiani Eurialo e Niso, il cui coraggioso sacrificio, avvenuto nel corso di una spedizione notturna, non porta ad alcun esito determinante per i Troiani.
X libro: la scena di guerra si movimenta con l'alleanza fra Etruschi e Troiani. Sul campo di guerra Turno uccide Pallante, mentre Enea uccide Mezenzio, potente alleato di Turno.
XI libro: nella prima parte si narra del rito funebre per la morte di Pallante e dalle speranze di pace che hanno i combattenti; nella seconda parte tornano altri scontri bellici, nel corso dei quali perde la vita anche Camilla.
XII libro: l'opera si conclude con lo scontro decisivo fra Turno ed Enea, il quale, dopo aver ridotto all'impotenza l'avversario e dopo essere stato sul punto di concedergli indulgenza, decide infine di ucciderlo, dopo aver visto che indossava la cintura d'oro di Pallante.

giovedì 29 marzo 2012

Solo et pensoso i più deserti campi

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.                         4
Altro schermo non trovo che mi scampi         
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'allegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:                   8
sì ch'io mi creda omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.                           11
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non vegga sempre
ragionando con meco, et io con llui.                    14
 
F. Petrarca, Canzoniere, Torino, Einaudi, 1997

PARAFRASI
Solitario e pensieroso i luoghi più deserti
vado segnando con il mio passo lento
e rivolgo lo sguardo, attento in modo da
evitare evitare
ogni posto toccato da orme umane
Altro rifugio non so trovare che mi protegga
dall'attenzione ( indiscreta ) della gente;
poiché nei miei gesti privi di ogni serenità
esteriormente si intuisce come io, nell'intimo,
sono inquieto
cosicché credo ormai che monti, pianure
fiumi, boschi conoscano i caratteri della
mia vita
che pure è tenuta,cerco di tenere...
segreta agli altri
Del resto nessun isolato e solitario luogo
riesco a trovare, in cui Amore non mi
accompagni in ogni istante
parlando con me ed io con lui.


COMMENTO
Solo et pensoso, scritto nel 1337, è uno dei sonetti più famosi dei Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, che prenderanno poi successivamente il nome d’una indicazione di genere – Canzoniere – per il tasso innovativo che lo caratterizza. Petrarca infatti conferisce al Canzoniere una struttura organica, ordinando i singoli microtesti in una struttura dotata di un suo significato complessivo. Solo et pensoso appartiene alle rime "in vita" di Laura. La forma metrica adottata è quella del sonetto: quattordici endecasillabi, divisi in due quartine e due terzine, con rima ABBA, ABBA, CDE, CDE.
La lirica del Petrarca soltanto in senso lato può essere definita amorosa, in quanto rappresenta l'espressione
del mondo interiore del poeta con i suoi turbamenti, le sue debolezze, le sue contraddizioni, le sue speranze
e le sue aspirazioni. Protagonista del Canzoniere di Petrarca è sì Laura, sì gli storici protettori del poeta (i Colonna), ma soprattutto Petrarca stesso e gli effetti che il suo amore per Laura produce nel suo animo. L’amore, che caratterizza l’opera ed il poeta, è un amore tormentato, che investe sia l’anima che il corpo. È un amore oscillante tra la passione dei sensi e il vagheggiamento ideale. Un amore inteso come traviamento, da cui il poeta spesso vuole liberarsi per poi però ricadere nel vagheggiamento e nella preghiera.
L'amore per Laura quindi concretizza i moti più intimi e segreti dell'animo del poeta. I temi della poesia
ritorneranno in altri poeti addirittura del 900...ad indicare l’influenza e la modernità del Petrarca
Una coppia di fondo caratterizza la poesia: Esterno: rapporto con gli altri. Interno: Interiorità, animo del poeta
Coppia è un termine che possiamo usare anche per la metrica: stilisticamente il sonetto è infatti costruito con una coppia a due.
Due aggettivi simili lo introducono, altri due sono alla fine del secondo verso, e ancora nel v. 12: "solo e
pensoso... passi tardi e lenti... aspre vie né selvagge". Un doppio ritmo che da un suono più importante
dei significati.
Anche i sostantivi che si susseguono nei vv. 9-10 sono a gruppi di due.
Tutto il sonetto si muove così in una simmetria ondeggiante.
La malinconia del contenuto, la dissonanza(contrasto) che si viene a manifestarsi fra l'io e la natura sembrano trovare una sintesi nella poesia che vorrebbe rigenerare l’animo del poeta-viandante.
Il protagonista del Canzoniere è pertanto un uomo segnato dal dissidio interiore, da una lacerazione che
lo accompagna senza dargli pace anche nei luoghi più solitari e sconosciuti.
È questo l'uomo che si mostra a noi nel sonetto Solo et pensoso, un componimento non il solo che, per le
tematiche della solitudine e del colloquio con la propria anima, può rappresentare efficacemente la modernità
del Petrarca. Nel componimento è quindi evidente come il sentimento amoroso venga vissuto come traviamento dell’animo, come tormento; ed è naturale conseguenza la fuga, non solo dalla gente, ma anche, per certi versi, dal sentimento amoroso stesso. Una solitudine che però, è evidente nell’ultima terzina, non si realizza, poiché l’Io del poeta viene affiancato dall’onnipresente Amore (sentimento in questo componimento, come sarà in tanti altri, evidentemente tirannico) che, personificato come in tutta l’opera, dice il poeta, “venga sempre ragionando con meco”

ANALISI TESTUALE
La sostanza moderna del sonetto è rilevata dalla presenza dominante del poeta che, protagonista assoluto
della "situazione" lirica, esprime con forte intensità la condizione del suo animo. La focalizzazione sull'io-
lirico è evidenziata dalla ricorrenza delle azioni descrittive, riferite in prima persona.
Il tema della lirica è il conflitto interiore del poeta che ricerca la solitudine vagando in una natura deserta e
solitaria per nascondere agli altri uomini la sua intima disperazione.
Il sonetto a livello strutturale può essere scandito in tre sequenze principali.
La prima quartina è incentrata sul tema della solitudine che ricorre nell'aggettivazione relativa al poeta
( solo et pensoso ) e in quella riferita al paesaggio ( deserti campi).
L'altra sequenza è rappresentata dal blocco sintattico costituito dalla seconda quartina e la prima terzina
(vv.5-11) in cui viene sottolineata la perfetta sintonia tra il paesaggio e lo stato d'animo del poeta. La natura
infatti sembra partecipare all'evidente stato di sofferenza che affligge il poeta e sembra potergli concedere
rifugio e conforto. Questa dimensione assunta dalla natura rappresenta in parte una novità nella poesia medievale e costituisce una creazione specifica della lirica di Petrarca. Nella tradizione poetica precedente infatti il paesaggio non è il luogo dove l'uomo può trovare la sua realizzazione.Insomma la natura come Laura è qualcosa di concreto
L'ultima terzina (vv.12-14) è un congedo ed è incentrata sul motivo del richiamo amoroso che non soltanto
non abbandona il poeta neanche nei luoghi più solitari, ma diventa per l'amante una voce amica che
nulla può far tacere. L’amore può anche essere inteso come elemento che spinge il poeta attraverso Laura
verso il mondo esterno che però è fatto di conflitti e contrasti.
L'espressione finale ragionando con meco, et io co llui(v.14), fortemente antitetica a quella iniziale
solo et pensoso(v.1), esprime il dissidio tra la solitudine ricercata dal poeta e la continua presenza di
Amor(v.13).
Possiamo notare la presenza di vocaboli usuali, fatte alcune eccezioni, come ad esempio i latinismi vestigio
(v.4) e piagge (v.9). Altri latinismi, in forma puramente grafica, sono et (vv.1,3,9,14) e human (v.4).
L'influsso del latino può giustificare inoltre la "e" in luogo di "i" nella voce mesurando (v.2). La voce avampo
(v.8) può essere considerata una forma colta in cui non avviene il rafforzamento della consonante "v"
dopo la vocale "a".
Petrarca nel Canzoniere però, non utilizza latinismi troppo scoperti anche perché non mira a una solennità
elevata di parola quanto piuttosto a una musicalità elegante ed armoniosa.
Segnaliamo infine la forma co llui(v.14), nella quale è avvenuta l'assimilazione "nl" in "ll".

La struttura ritmico-sintattica del sonetto è caratterizzata da una perfetta simmetria riscontrabile già dai
primi versi nella coppia di aggettivi solo et pensoso (v.1) con la coppia sinonimica tardi et lenti(v.2),
danno una sfumatura di significato, un rallentamento del ritmo che riproduce il vagare lento e senza meta
del poeta. Anche il verbo mesurando dà l'impressione di un vagare a passi lentissimi, proprio di chi, come
il poeta è immerso in una meditazione che lo assorbe completamente.

Figure retoriche:
L'espressione atti d' allegrezza spenti (v.7) è propriamente una litote in quanto attenua un'immagine troppo
forte, ma possiede anche un significato ossimorico poiché i due termini sono accostati per opposizione
(allegrezza spenti). A sua volta l'aggettivo spenti, correlato a di fuor (v.8), è in antitesi con avampi (v.8)
che richiama, con struttura a chiasmo, dentro (v.8). Da rilevare anche l'iperbato et gli occhi porto per fuggire
intenti (v.3), che rallenta notevolmente il ritmo.
Diverse antitesi come di fuor…dentro (v.8), spenti…avampi (vv.7-8), sottolineano il contrasto tra la pena
d'amore intima del poeta e gli atti esteriori. Fortemente antitetiche sono l'espressione iniziale solo et pensoso
(v.1)e quella finale ragionando con meco et io co llui (v.14), in cui si evidenzia il dissidio tra la solitudine
ricercata dal poeta e la continua presenza di Amor (v.13).
Personificazione: vv. 13-14: ”ch’Amor non venga sempre/ragionando con meco, et io co°llui”
Per quanto concerne l'aspetto fonico è da segnalare la terminazione in "i" delle rime delle quartine, che
contengono sempre i gruppi consonantici "mp" o "nt", il cui suono allitterante comunica una sensazione di
monotonia e immutabilità.
Altre allitterazioni sono presenti nella lirica. In solo et pensoso (v.1) abbiamo l'iterazione della sillaba "so",
rafforzata dalla "s" di deserti. Nell'ultimo verso invece si ripete la sillaba "co" in con meco et io co llui.
Endiadi: v. 2; vv. 9-10 :Solo et pensoso i più deserti campi/vo mesurando a passi tardi et lenti“; “sì ch’io mi credo ormai che monti et piagge/ et fiumi et selve sappian di che tempre”
Metafora: v.2; v. 8: “vo mesurando”; “com’io dentro avampi”
Iperbato: v.3: “et gli occhi porto per fuggire intenti” (ricostruzione: et porto gli occhi intenti per fuggire)
Il personaggio di Solo et pensoso rivela notevoli affinità aspetti dei poeti del 900-ecco perchè diciamo che
Petrarca è moderno (con una certa esagerazione)

lunedì 19 marzo 2012

Il riassunto



Riassumere significa esporre brevemente e con parole proprie il contenuto essenziale di una narrazione più ampia e particolareggiata.
Il riassunto ha due funzioni, una per chi lo fa e una per chi lo legge.
L’arte del riassumere è importante e utilissima e la si impara mettendole in atto.
Fare riassunti serve a condensare le idee, in altre parole insegna a scrivere.
Le domande fondamentali:
     CHI? (i personaggi)
DOVE? (il luogo)
PERCHE’? (il motivo)
CHE COSA? (il fatto)
QUANDO? (il tempo)
Scheda guida per fare il riassunto:
Leggere attentamente il racconto e capirne bene il significato generale cercando sul vocabolario il significato di eventuali parole difficili o sconosciute.

Dividere il racconto in parti o sequenze per capire la successione logica dei fatti.

Individuare  i fatti principali, eliminando quelle informazioni (anche intere sequenze) che non sono indispensabili per lo svolgimento del racconto, ma che servono semplicemente ad arricchirlo. 
Esporre   con parole proprie, in forma sintetica e con periodi semplici e scorrevoli, il contenuto essenziale del racconto, usando un linguaggio referenziale, che si limiti cioè a riferire i fatti così come sono, senza alcuna considerazione personale.
In quest’ultima operazione vi sono delle precise regole da osservare:
-         trasformare il discorso diretto in discorso indiretto facendo attenzione al cambiamento di persona (da 1° a 3°) al verbo ai pronomi personali, agli aggettivi e pronomi possessivi;
-         scegliere il tempo verbale da usare nelle proposizioni principali e mantenerlo nello svolgimento del riassunto.

Come analizzare un racconto


   

Il racconto è costituito da una trama, cioè l’ossatura fondamentale della storia che si sviluppa nelle sequenze. La sequenza  è una parte di racconto che rivela unità di tempo, luogo, azione, contenuto.
Le sequenze: narrano, descrivono, esprimono giudizi o riflessioni dei personaggi, esprimono giudizi e riflessioni dell’autore.
Per individuare il passaggio da una sequenza all’altra esistono dei segnali indicatori:
a)      introduzione o nascita di un personaggio;
b)      cambiamento di luogo;
c)      cambiamento di tempo;
d)      cambiamento di modalità del testo: passaggio dalla narrazione alla descrizione, al dialogo.
Tra una sequenza e l’altra ci deve essere una differenza di contenuto (a,b,c) o di forma (d).
Il racconto si sviluppa attorno ai personaggi.   I personaggi possono essere analizzati secondo:
-         aspetto;
-         comportamento;
-          sentimenti, carattere.
In base al ruolo che i personaggi hanno nella storia si possono cogliere le relazioni, cioè i rapporti che hanno tra loro. Si possono individuare:
a)      relazioni positive: amore, collaborazione;
b)      relazioni conflittuali: scontro, contrapposizione;
c)      relazioni di indifferenza: i personaggi agiscono vicini senza avere relazioni.
Il racconto può essere narrato:
-         dal protagonista;
-         da un personaggio marginale;
-         da un narratore esterno che sembra sapere e vedere ogni fatto, ogni evento.
Per analizzare un racconto si devono cogliere:
a)      le caratteristiche dei luoghi;
b)      la dimensione temporale come successione o durata.
I personaggi sono l’elemento fondamentale del racconto, oltre i personaggi possono avere un ruolo importante: oggetti, animali, elementi del paesaggio. Oltre le relazioni tra personaggi è importante cogliere l’evoluzione psicologica e le trasformazioni interiori.
I luoghi.  Per analizzare i luoghi occorre (oltre all’individuazione):
-         distinguere se reali o immaginari;
-         enucleare ciò che li caratterizza;
-         riflettere sulle modalità di presentazione:
1.      esauriente e dettagliata;
2.      con annotazioni esplicite riportate dall’autore;
3.      senza nessuna informazione diretta per cui i luoghi vanno dedotti.
-         esaminare il ruolo della descrizione che può:
1.      introdurre le vicende;
2.      interrompere la successione degli eventi;
3.      riflettere e rispecchiare la psicologia dei personaggi.
I tempi. L’analisi dei tempi di una storia riguarda:
-         l’ordine degli avvenimenti narrati che può:
1.      essere cronologico, seguire la successione temporale reale;
2.      anticipare fatti futuri;
3.      ricordare eventi passati.
-         la durata degli avvenimenti. Per esaminare la durata degli avvenimenti occorre riflettere sul rapporto tra tempo del discorso e tempo della storia. Il tempo della storia è il tempo della durata reale degli avvenimenti, il tempo del discorso è il tempo della narrazione. Si possono verificare tre tipi di rapporto tra i due diversi tempi:
1.      il tempo del discorso è più breve di quello della storia, narratore che riassume;
2.      il tempo del discorso è uguale a quello della storia, dialoghi;
3.      il tempo del discorso è più lungo di quello della storia, il narratore sospende il racconto per lunghe riflessioni o descrizioni.

Il Mito




Come favola e fiaba si collega alla sfera dell’immaginario.
 Il mito racchiude le credenze, le convinzioni religiose, i valori morali di un popolo.
 Il mito è un racconto fantastico di tipo speciale perché ha un contenuto immaginario ma nasce da una necessità, quella degli uomini di conoscere alcuni aspetti della realtà le cui origini erano avvolte nel mistero.
 L’uomo si pone i primi perché e risponde con la fantasia.
A noi i miti servono perché ci danno informazioni sulla cultura dei popoli antichi (fonti storiche) e sulla loro mentalità, i miti hanno un carattere religioso.
Spesso i miti di popoli diversi si somigliano perché hanno elaborato spiegazioni simili.
I personaggi dei miti sono divinità o creature fantastiche (draghi, mostri), individui (eroi che sono a metà tra uomini e dei) con doti straordinarie, spesso sono figli di divinità. Di solito sono ben definiti. Anche gli elementi naturali alcune volte sono personificati.
Il tempo è molto remoto, alle origini dell’uomo ma indeterminato
Il luogo è generico e indeterminato, fantastico e immaginario
Le vicende riflettono le usanze dalla civiltà che ha scritto il mito
Il linguaggio è semplice perché prima erano orali.
La mitologia ha esercitato una forte influenza sulla civiltà occidentale.
Nel linguaggio moderno quando si parla di mito si intende una cosa diversa

LE ORIGINI DELLA FIABA


La parola fiaba (dal latino fabula) significa narrazione e ci riporta a storie di origine antichissima e misteriosa. Le fiabe, che a prima vista possono sembra­re racconti semplici e quasi infantili, in realtà tramandano un patrimonio di saggezza e di conoscenze comuni a popoli anche lontani fra loro e profonda­mente diversi. Questi racconti meravigliosi sarebbero quindi l'espressione di una cultura che accomuna popoli anche molto diversi tra loro, quasi che la fantasia e i desideri dell'uomo si esprimano in maniera «simile» in ogni luogo e in ogni tempo. Forse proprio per queste somiglianze, le fiabe, anche di epoche e culture lontane da noi, con­tinuano ad affascinarci e a sorprenderci.
Gli studiosi hanno cercato di capire quale origine possano avere le fiabe, a quale esigenza, comune a tutti gli uomini, esse rispondano.   Una teoria particolarmente affascinante è quella elaborata dallo studioso russo Vladimir PROPP (1895-1970) che ha individuato un legame tra la fiaba ed i riti di passaggio delle società primitive di cacciatori.  In età preistorica questi riti simboleggiavano il passaggio dall'infanzia all'età adulta attraverso il superamento di alcune prove, proprio come accade ai protagonisti delle fiabe. Consideriamo ad esempio la par­tenza dell'eroe con cui solitamente iniziano le fiabe. Secondo Propp, questa funzione corrisponde pres­so i popoli primitivi allontanamento dei giovani dalla tribù durante il ri­to dell'iniziazione. Che cos'è l'iniziazione? È uno dei momenti più importanti all'inter­no della vita delle tribù primitive e ancor oggi si svolge presso alcune tribù isolate del continente africa­no e sud-americano. Il rito si celebra al sopraggiungere dell'adolescenza. Con esso i giova­ni di sesso maschile vengono intro­dotti nella comunità, di cui diven­gono membri effettivi; da quel mo­mento in poi possono anche sposarsi. Durante un periodo più o meno lungo i giovani vengono allontana­ti dai genitori e devono dimostrare di poter cavarsela da soli all'inter­no della foresta, saper fuggire i pe­ricoli ed essere in grado di soddi­sfare i propri bisogni. Questo allon­tanamento, presso alcune popolazioni, prende la forma simbolica di un «rapimento» ad opera dello stre­gone del villaggio, travestito da ser­pente. Al momento della partenza il giovane viene accompagnato dai consigli degli anziani oppure da di­vieti particolari. Al giovane che sta per diventare un vero uomo vengono affidati dei com­piti, che servono a dimostrare il suo coraggio agli occhi della tribù. Il giovane, prima di entrare nella foresta, invoca gli spiriti che la abi­tano e porta con sé piccoli amuleti o totem, che raffigurano solitamente degli animali i quali hanno la fun­zione di proteggerlo durante la sua impresa. Durante l'iniziazione si ritiene che il fanciullo muoia alla vita «vecchia» per rinascere come uomo nuovo. Subisce insomma la «morte tem­poranea» che viene simboleggiata attraverso un seppellimento o ad­dirittura delle mutilazioni, come il taglio di un dito. I riti, celebrati nel folto della foresta, erano circondati dal più fitto mistero.  Spesso ai ragazzi, condotti singolarmente in un luogo rituale, (al centro della foresta c'è di solito una capanna, la grande casa dove si svolgono i riti di iniziazione: per en­trarvi bisogna conoscere una for­mula, uno scongiuro, oppure com­piere sacrifici e gesti particolari; la capanna e la foresta sono i sim­boli del regno dell'oltretomba e chi vi abita, lo stregone, ne è il custode) venivano presentate situazioni pericolose o che incutevano paura; esperti stregoni somministravano loro sostanze speciali, con l'aiuto delle quali gli iniziati vive­vano esperienze di conoscenza di sé, dei propri limiti, delle proprie effettive capacità nella resistenza al dolore. Dopo il superamento delle prove, in cui aveva dimo­strato coraggio, tenacia e capacità di sopravvivere da solo, il ragazzo tornava al villaggio «trasformato»: era diventato adulto e aveva il diritto di sposarsi. Il rito spiega dunque come comportarsi, in che cosa credere, come chiedere l'aiuto di un'entità misteriosa o divina. Superando le prove del rito, il giovane viene ac­colto nella comunità e incomincia a partecipare attivamente alla vita sociale del villaggio e della tribù. Anche nelle fiabe classiche il bosco è di solito un luogo misterioso e pieno di pericoli, l'eroe deve superare difficili prove e spesso subisce una trasforma­zione che gli consente di sposare la giovane per cui ha lottato. Con il mutamento della società e delle abitudini di vita, questi riti non vennero più celebrati, ma ne restarono il ricordo e la narrazione. Sarebbe proprio questa, secondo Propp, la radice antichissima non solo delle più antiche forme di teatro, ma anche dei miti e delle fiabe stesse.
Un altro studioso, Bruno BETTELHEIM (1903-1992), uno psichiatra austriaco vissuto negli Stati Uniti, ha individuato nel mondo delle fiabe uno specchio delle difficoltà psicologiche che ogni essere umano deve affrontare per cre­scere, diventare se stesso, affrontare problemi e dolori. Le fiabe ci comunicano, dice Bettelheim, «che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte dell'esistenza umana e che soltanto chi non si ritrae intimorito, ma affronta risolutamente difficoltà inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine riuscire vittorioso. Le fiabe ci pongono di fronte ai principali problemi umani.» 
Questo spiegherebbe anche il fascino e l'attrazione che le fiabe esercitano sui bambini di tutto il mondo.   Nelle fiabe essi vedono raffigurati fantasticamente i loro problemi, le paure, la difficoltà di diventare grandi. 
LE FUNZIONI DI PROPP
Vladimir Propp,  ha confron­tato molte fiabe e ha scoperto che in tutte è presente un numero limita­to di motivi o temi fissi. Sussistono cioè personaggi o situazioni che esercitano nel racconto funzioni precise. Queste sono l'impalcatura, la struttura di fondo su cui viene poi costruita tutta la storia e inoltre si susseguono in modo quasi sempre identico all'interno di fiabe anche molto di­verse. Non in ogni fiaba, comunque, sono presenti tutte le funzio­ni: talvolta ne compaiono solo alcune.
 Cominciamo dai personaggi-tipo: Propp ne ha identificati sette.
1. L'eroe: il protagonista della fiaba.  2. Il falso-eroe: il personaggio che si sostituisce all'eroe per ottene­re favori o riconoscimenti immediati. 3. L'antagonista: il nemico del protagonista, il «cattivo» che osta­cola l'eroe. 4. Il donatore: il personaggio che fornisce all'eroe i mezzi magici per vincere l'antagonista. 5. L'aiutante: il personaggio che aiuta l'eroe in diverse circostanze. 6. Il mandante: il personaggio che manda l'eroe alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. 7. Il ricercato: il personaggio che deve essere raggiunto, liberato, salvato.
Questi personaggi tipo non sono necessariamente tutti presenti in ogni fiaba, ma soprattutto i più importanti, come l'eroe, l'antago­nista o il ricercato, possono essere ritrovati in moltissimi racconti.
Ecco ora uno schema delle situazioni ricorrenti (funzioni) identifi­cate da Propp.
1.Allontanamento (uno dei mEmbri della famiglia si allontana, oppure muore). 2. Divieto (si proibisce qualcosa all'eroe oppure gli si impone un ordine). 3. Infrazione (la proibizione viene infranta). 4. Investigazione (l'antagonista cerca di scoprire qualcosa o cerca informazioni sull'eroe). 5. Delazione (l'antagonista svela un segreto).     6. Tranello (l'antagonista cerca di ingannare l'eroe).
7. Connivenza-complicità (l'eroe cade nell'inganno e favorisce in­volontariamente l'antagonista). 8.Danneggiamento(l'antagonista provoca una sciagura o un danno a uno dei membri della famiglia; manca qualcosa  o viene il desiderio di qualcosa). 9. Mediazione (la sciagura o la mancanza sono rese note; all'eroe viene imposto un compito difficile; ci si rivolge a lui con una pre­ghiera o un ordine, lo si invia in qualche luogo). 10. Consenso dell'eroe. 11. Partenza dell'eroe. 12. Prova a cui è sottoposto l'eroe. 13. Reazione dell'eroe. 14. Fornitura del mezzo magico. 15. Trasferimento dell'eroe. 16. Lotta tra eroe e antagonista. 17. Marchiatura (l'eroe viene marchiato o reso riconoscibile con un segno sul corpo). 18. Vittoria sull'antagonista. 19. Rimozione della sciagura o mancanza iniziale.   20. Ritorno dell'eroe.  21. Persecuzione dell'eroe.     22. Salvataggio dell'eroe.
23. Arrivo in incognito a casa dell'eroe. 24. Pretese infondate del falso eroe. 25. Compito difficile imposto all'eroe. 26. Adempimento del compito. 27. Riconoscimento dell'eroe. 28. Smasche-ramento del falso eroe o dell'antagonista. 29. Trasfigurazione dell'eroe (l'eroe appare trasformato).
30. Punizione dell'antagonista. 31. Nozze dell'eroe o lieto fine.
          IL TEMPO E LO SPAZIO
| Una caratteristica costante della fiaba è la mancanza di indicazioni precise in relazione al tempo e allo spazio. Il tempo, infatti, in cui si svolgono le vicende è sempre indefinito, im­precisato.
Le formule consuete «C'era una volta...», «Tanti, tanti anni fa...», «Nei I tempi antichi...», «Una volta.;.», che rimandano a un passato lontano, vago, indeterminato, rendono ancor più misteriose e fantastiche le  vicende narrate e consentono al lettore di proiettarsi in un «tempo che non ha tempo» e di dare largo spazio alla propria immaginazione. La durata stessa delle vicende è spesso generica: potrebbero durare poche ore, come tanti giorni o tanti anni. Anche i luoghi delle fiabe sono generalmente presentati con povertà descrittiva, anch'essi risultano indeterminati, perché ciò che più inte­ressa nella fiaba sono le vicende e i personaggi. Questa indeterminatezza, imprecisione, indefinitezza contribuisce a creare un'atmosfera misteriosa, magica, fantastica.

IL LINGUAGGIO

Il linguaggio della fiaba è caratterizzato dalla presenza di:
• espressioni tipiche del linguaggio orale, quotidiano, informale.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che le fiabe erano racconti tra­smessi oralmente da una generazione all'altra.
• formule fisse iniziali e finali. (Ad esempio: «C'era una volta...», «... e vissero felici e contenti»)
• elementi ricorrenti che si ripetono sempre uguali, facili da tenere a memoria. (Ad esempio: formule magiche, filastrocche senza senso...)
• dialoghi frequenti che vivacizzano la narrazione.
• utilizzo di voci verbali coniugate al modo indicativo e al tempo imperfetto (usato più frequentemente in quanto è quello che esprime meglio l'idea di una azione passata, ma indefinita, non del tutto compiuta) passato remoto   (usato soprattutto per indicare azioni passate ac­cadute in momenti ben precisi) presente   (usato nei dialoghi).

     FIABE DELLA TRADIZIONE E FIABE D’AUTORE
 I primi scrittori-raccoglitori risalgono al Seicento.
• In Italia Giambattista BASILE (1575-1632) scrisse in dialetto napoletano cinquanta fiabe tradizionali nel suo Lo cunto de li cunti o Pentamerone.
• In Francia, sempre nel 1600, Charles PERRAULT (1628-1703) interpretò fiabe già esistenti scrivendo I racconti di Mamma l'Oca, tra cui sono famose: Cappuccetto rosso, II gatto con gli stivali, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco.
• Un secolo dopo, nel 1700, si diffusero in Europa le famose fiabe de Le mille e una notte, una raccolta provenien­te dal mondo arabo, di cui conoscerai la storia di Aladino e quella di Ali Babà e i quaranta ladroni.
• Solo nel 1800, però, vi fu una diffusione straordi­naria dell'interesse per la fiaba e per la cultura popolare: fiorirono così raccolte di fiabe tradizionali in moltissimi Paesi.
• In Germania i più famosi scrittori di fiabe sono, stati Clemens BRENTANO (1778-1842) e i fratelli GRIMM, Jakob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859), che raccolsero un gran numero di fiabe della tradi­zione tedesca, tra cui  Hansel e Gretel, Pollicino o Raperonzolo.
• In Italia, Giuseppe  PITRÉ (1841-1916) studiò e raccolse le fiabe della Sicilia.
• Ai giorni nostri Italo CALVINO (1923-1985) ha racchiuso nel libro Fiabe italiane, del 1956,il suo paziente lavoro di ricerca e trascrizione delle fiabe scritte nei vari dialetti regionali del nostro Paese.
Molti scrittori si sono cimentati con il genere «fiaba», creando storie che naturalmente si ispirava­no alla tradizione, ma che avevano trame originali e personaggi inventati. Tra i più importanti ricordiamo il danese Hans Christian ANDERSEN (1805-1875), autore tra l'altro di II brutto anatroccolo, I cigni selvatici, La principessa, sul pisello; il siciliano Luigi CAPUANA (1839-1915); la to­scana Emma FE­RODI (1850-1918); l'irlandese Oscar WILDE (1854-1900).