giovedì 4 ottobre 2012

dal latino al volgare




La lingua italiana deriva dal latino volgare. Devi sapere, infatti, che la lingua latina presentava anticamente due forme: una forma lette­raria o scritta (latino letterario), usata dai dotti e dalle persone di condizione più elevata; e una forma volgare o parlata (latino regionale o vol­gare), usata dal volgo, ossia dal popolo e dalle persone meno colte. Ai tempi del suo massimo splendore Roma aveva unificato il suo immenso impero sia da un punto di vista politico-giuridico che lin­guistico: in una parola aveva imposto ai popoli conquistati le sue leggi e la sua lingua. Ma la lingua che i coloni e i soldati romani tra­sferivano nelle nuove terre non era di certo il latino letterario, ben­sì quello volgare, cosicché su tutto il territorio dell'impero, se da un lato era noto il latino letterario, usato per le più alte necessità della vita politica e culturale, dall'altro fioriva il latino volgare che logica­mente, a contatto con le lingue originali dei popoli conquistati, andò subendo inevitabili trasformazioni o alterazioni.
La lingua attuale deriva dall'evoluzione del latino parlato attraverso i tempi, arricchito di termini introdotti anche da popoli invasori (Goti, Longobardi, Franchi, Arabi). Sono nate così le lingue neolatine ( nuove dal latino) o romanze (romanice loqui parlare romano). L'italiano è una delle lingue neolatine o romanze così come il francese, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno. Quando l'Impero romano cadde (476 d.C.), anche la lingua latina si suddivise in tante lingue diverse: in Italia cominciò a formarsi una nuova parlata, detta volgare perché utiliz­zata dal popolo (vulgus), diversa in ogni regione, mentre il latino rimase la lingua ufficiale delle persone colte e dell'espressione letteraria e giuridica almeno fino al XIII secolo. I primi documenti di queste nuove lingue risalgono all'IX e X secolo.

In Italia, fin dal IX secolo, abbiamo esempi di documenti scritti in una lingua che non è più latina, ma che ancora in qualche modo ri­corda le forme del latino.

Il più antico documento in tal senso è il seguente indovinello con­servato nella Biblioteca Capitolare di Verona, che risale a un periodo collocabile tra l’VIII e il IX secolo.
Se pareba boves,          Spingeva innanzi i buoi (= le dita)  alba pratalia araba,       arava bianchi prati (= la carta) albo versorio teneba, teneva un bianco aratro (= la penna) negro semen seminaba seminava nero seme. (= l'inchiostro)
Questo «Indovinello Veronese» allusivo all'atto dello scrivere è una chiara testimonianza di come la lingua latina stia per trasfor­marsi in lingua volgare. Ad esempio, i verbi latini parebat, arabat, tenebat, seminabat nella lingua volgare si sono trasformati in pare­ba, araba, teneba, seminaba. Nel testo sono presenti termini latini e altri volgari. I termini latini sono concentrati nelle ultime due righe. I termini volgari sono: pareba, araba, teneba, seminaba, in cui si è avuta la caduta della t finale; negro derivato dal latino nigrum(nero), in cui si è avuta la caduta della desi­nenza -um; albo derivato dal latino album (bianco) in cui si è avuto un cam­biamento di vocale.

Il primo documento però in cui appare chiaramente la contrapposi­zione del volgare al latino e quindi la differenza delle due lingue è il Placito di Capua  o Placito Cassinense del 960. Si tratta di una sentenza giudiziaria rela­tiva a una contesa sorta per il possesso di alcune terre fra il mona­stero di Montecassino e un certo Rodelgrimo di Aquino. Il giudice Archisi nel suo verbale, redatto come d'uso in latino, riporta la formula pro­nunciata dai testimoni per confermare il possesso trentennale di una delle due parti. Tale formula, trascritta nella lingua parlata dai testimoni, ossia nella lingua volgare, è la seguente:

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti.
(So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, le pos­sedette per trent'anni la parte, ossia il monastero, di San Benedetto.)
Dall'esame della frase è facile constatare che la lingua usata, seppur mantenga qualche traccia di latino (infatti sao deriva da scio (so); fini da fines, possette da possedit; sancti Benedicti, poi, è un genitivo lati­no; ko è volgare poiché in latino la congiunzione che non esiste; kelle è volgare, significa quelle -in latino si diceva illae- ), è nettamente “volgare”. Siamo dunque in presenza del primo documento in volgare italiano. I primi scritti in volgare nascono quindi da esigenze pratiche (testi giuridici) o sono trascrizioni di testi popolari (scongiuri, indovinelli, ecc.). tuttavia fino al XIII secolo il volgare rimane sostanzialmente una lingua orale.

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