Pakistan, 10 milioni di
studenti pregano per Malala
In ginocchio per Malala dieci
milioni pregano davanti alle sue foto
Pakistan, gli studenti sfidano
i Taliban
Di VITTORIO ZUCCONI
C’
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Pakistan, 10 milioni di
studenti pregano per Malala
In ginocchio per Malala dieci
milioni pregano davanti alle sue foto
Pakistan, gli studenti sfidano
i Taliban
Di VITTORIO ZUCCONI
E’ UNA piccola luce di speranza
accesa nella stanza dell’ospedale pakistano nel quale Malala Yousafzai cerca, a
14 anni, di sopravvivere ai talebani che volevano ucciderla, e che sta
accendendo milioni di candeline.
S
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PERANZA per lei, prima di
tutto, ma per chiunque, a Oriente come a Occidente, voglia ancora credere che
la separazione fra fede religiosa e legge civile, e l'eguaglianza di ogni
cittadino senza distinzione di genere, sia l'essenza di quella che noi chiamiamo
libertà. L'attentato compiuto da un gruppo di fondamentalisti Taliban che
l'hanno fermata su uno scuolabus nella valle dello Swat, identificata e colpita
con due pallottole perché aveva osato difendere in pubblico il diritto delle
bambine ad andare a scuola potrebbe fare, insieme con la ancora fragile quando
miracolosa sopravvivenza di Malala, quello che migliaia di milioni di dollari
buttati, migliaia di morti, migliaia di missili e bombe non hanno saputo fare.
Mettere cioè noi, portatori violenti
di diritti ai quali giuriamo di credere, e il mondo islamico in uno dei suoi
snodi più cruciali, il Pakistan nucleare, di fronte a una scelta. Se
ripiombare nell'inferno dei Mullah Omar, dei Bin Laden, degli ayatollah sciiti,
dei cosiddetti «martiri» vestiti di tritolo o fare un enorme balzo in avanti
riconoscendo almeno che nessun Dio e nessun Libro possono rinchiudere le donne
nei recinti della ignoranza. O costringere altri a comportarsi
secondo dogmi che non riconoscono.
Malala sta
pesando più di una battaglia perduta, per i dementi dell'integralismo
religioso, più di quegli aerei senza pilota, i droni, che danno l'illusione di
poter combattere un'organizzazione capillare di assassini con il telecomando.
Nove milioni e mezzo di studenti (in 15mila scuole del Paese, molti anche in
Afghanistan) sono stati raccolti in Pakistan da altre organizzazioni
religiose, scuole coraniche, predicatori, per invocare la misericordia di Allah
per Malala, per testimoniare che il loro non può essere lo stesso Signore
dell'Universo che vuole ammazzare una ragazzina per impedirle di parlare e di
studiare. Le candele, che fedeli di ogni religione accendono da secoli per
illuminare la propria via nei momenti di disperazione e di paura, sono le
stesse «Candele Gialle» che un grande scrittore cattolico, lo scozzese Bruce
Marshall, vide accendersi nella Parigi sconvolta alle soglie dell'invasione
nazista, come segno di speranza. Non c'è luce più antica ed eloquente di una
candelina accesa, per sfidare l'oscurità del momento. Malala, osano dire i
suoi tentati assassini attraverso un portavoce,
Sirajuddin Ahmad, «se l’era cercata». Era stata «vittima di lavaggio
del cervello» imposto dal padre, Ziauddin, che l’aveva spinta ad andare a
scuola nella valle dello Swat, verminaio di Taliban ben radicati. Le aveva
insegnato a usare il computer e a tenere un blog nel quale la sciagurata
sosteneva empietà quali «avere il diritto di studiare, il diritto di giocare,
il diritto di cantare, il diritto di andare al mercato. E il diritto di
parlare». È proprio la elementarità di questi «diritti», che noi diamo per
acquisiti irreversibilmente
dopo la rivoluzione Illuminista e non lo sono affatto, a misurare l'enormità di
quello che il fondamentalismo, oggi soprattutto islamico, rappresenta.
Ma, come dimostrano undici anni di
una guerra in Afghanistan che oggi nessuno, non alla Casa Bianca, non fra gli
aspiranti al governo, non nella Nato o all'Onu sa davvero come finire,
l'abisso non può essere colmato spalando spedizioni militari, soldi, morti e
quei «danni collaterali» a colpi di droni che infiammano di giusta collera
proprio coloro che si vorrebbero moderare. Se armi e spedizioni punitive
bastassero, non si spiegherebbe perché, undici anni dopo l’11 settembre, la
presa del fanatismo Taliban stia stringendosi, e non allentandosi,
sull'Afghanistan e sul Pakistan occidentale. Se qualcosa potrà muoversi,
soprattutto in una nazione come il Pakistan che—mentre il mondo si arrovella
attorno all'ipotesi che l'Iran possa costruire un giorno la sua prima Bomba —
già possiede almeno 100 testate atomiche e i mezzi per lanciarle, dovrà essere
dentro, non fuori.
Sono i casi come
questo di Malala che possono scuotere la crosta dell'allucinazione mistica
dall'interno e il potere politico dell'estremismo, così come sono le donne,
assistite da genitori, da padri, da fratelli che rifiutano di vederle trattate
come subumane, che dovranno ribellarsi a un'interpretazione clericale della
propria fede, scritta a misura e per comodità dei maschi. Le «candele gialle»
accese attraverso il Pakistan, come nella Parigi del 1940, sono una lucina ancora
fioca, come la vita della ragazza che ha il cinquanta per cento di probabilità
di uscire dal coma, ma inestinguibile. «Non potranno zittire tutte le
quattordicenni che vogliono andare a scuola e cantare» aveva scritto Malala nel
suo blog, profeticamente. Ma la luce di quel lumino, se diventasse un falò, andrebbe
vista anche da lontano, magari da quella nazione che si era riservata lì
diritto sovrano di «esportare la libertà e la democrazia». E che invece
rischia di ricadere, se i «piccoli Taliban» della destra fondamentalista si
impadronissero della Casa Bianca e della Corte Suprema nello
stesso fossato dal quale vorrebbe salvare gli altri.
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