L’eroe dell’epica medioevale è il cavaliere “senza macchia e senza paura”,
che combatte in difesa della fede cristiana, della patria, della giustizia. I
poemi medioevali rispecchiano senz’altro la realtà sociale e culturale che li
ha creati, centrata sulla figura del cavaliere considerato un campione della
fede e un difensore delle cristianità contro gli infedeli.
Dopo il periodo medievale, l’ideale cavalleresco
sopravvisse, ma fu lentamente svuotato del suo valore fino a ridursi, nelle
corti rinascimentali, a pura esteriorità. Nel 1400-1500 con l’affermazione
della civiltà umanistica e rinascimentale, la figura del cavaliere si
trasforma. Egli ora, nei poemi epici, non viene più rappresentato come l’eroe
per eccellenza, il depositario di tutte le virtù, bensì come un uomo,
con le debolezze, le passioni tipiche
degli altri uomini. D’altra parte tale trasformazione riflette la nuova realtà
e mentalità del Rinascimento, attenta a valorizzare l’uomo e i suoi sentimenti.
In questo periodo inoltre la materia cavalleresca intende soddisfare le
esigenze di una società aristocratica di gusti ricercati, più facile a
entusiasmarsi per le narrazioni di amore e avventura, che per le vicende di
guerra e di dedizione al dovere. Nelle
corti rinascimentali si continuavano ad ascoltare storie che avevano per
protagonisti i cavalieri; non più però per esaltarne gli alti ideali, ma per
divertire i nobili con il racconto delle loro strabilianti avventure. Ormai in
quell’epoca, in cui cominciavano a diffondersi le armi da fuoco, la figura del
cavaliere apparve definitivamente tramontata e con essa gli ideali a cui si
ispirava. Gli scrittori del XV e del XVI
secolo capirono tale declino e lo descrissero nelle loro opere – che
riprendevano i racconti epico-cavallereschi medioevali – ora con ironia, come
Ludovico Ariosto nel suo Orlando Furioso;
ora con nostalgia, come Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata; ora con ironia e nostalgia insieme, come lo
spagnolo Miguel de Cervantes nel suo Don
Chisciotte.
Ecco allora che
Orlando, paladino di Francia, protagonista dell’Orlando Furioso di Ludovico
Ariosto, non è più rappresentato come un valoroso difensore della fede, ma
come un cavaliere che lascia il campo cristiano di Carlo Magno e la difesa di
Parigi, travolto dalla passione amorosa per la bellissima Angelica, figlia del
re del Catai.
Nella Gerusalemme
Liberata di Torquato Tasso,
invece, il cavaliere torna ad essere l’eroe animato da forti ideali religiosi,
anche se tormentato de passioni terrene. Infine nel 1600 il Don Chisciotte dell’autore spagnolo Miguel de Cervantes segna la definitiva
scomparsa del cavaliere medioevale. Don Chisciotte non è altro che una patetica
figura di cavaliere che vive “da folle” avventure appartenenti a un mondo ormai
passato.
Anche nei tre romanzi di Italo Calvino, del 1959, che
compongono il ciclo dei “Nostri antenati”: “Il visconte dimezzato”, “Il barone
rampante”, “Il cavaliere inesistente”; la figura del cavaliere medioevale è
svuotata e quasi ridicolizzata. Il visconte dimezzato racconta di un valoroso
cavaliere di Carlo Magno, Agilulfo, sempre pronto a combattere "per
la santa causa", cioè per cristianizzare tutto il mondo attraverso le
Crociate. Indossa una lucida armatura bianca, è incline alla perfezione e alla
nobiltà d'animo, sempre pronto a risanare i torti, pieno di spirito e
razionalità che però ha un unico difetto: non esiste! Ha una voce metallica e
meccanica, è molto freddo, pignolo e perciò spesso abbastanza impaziente; è
molto sincero, dice sempre la verità poiché è incapace di dire il falso.
Inizialmente è molto razionale e calcolatore, pian piano riesce però a “umanizzarsi”,
scoprendo di avere anch'egli dei sentimenti. Con questo libro Calvino ha voluto
farci riflettere sulla condizione dell’uomo e su alcuni aspetti della realtà
del nostro tempo: l’uomo d’oggi, infatti, privo d’identità, quasi
inesistente, si può identificare nella figura del cavaliere inesistente. L’uomo
appare di fatto incerto, insicuro, perplesso, privo di sicurezza, è vuoto
dentro com’è vuota la bianca armatura d’Agilulfo. Altri temi che si possono
trarre dal libro sono quello della ricerca di sé, quello della
formazione dell’essere, quello del trovare il senso della vita nella
realizzazione di un ideale e quello della guerra. Ma il tema fondamentale è
certamente quello che non può esistere solo un’anima senza corpo, come Agilulfo
o un corpo senz’anima, come Gurdulù. Solo attraverso l’unione di questi due
importantissimi elementi si può parlare di vita. La figura di Rambaldo è il
punto d’unione di questi due personaggi: egli, infatti, agisce secondo il corpo
e si lascia guidare dalla sua anima. Morale di tutta la storia, “ ad essere
s’impara”. Calvino ci narra le vicende di questo paladino, delle sue
avventure tra Francia, Scozia e Marocco e, dei suoi compagni di viaggio:
la bella Bradamante (che si scoprirà poi essere la narratrice del romanzo),
innamorata del cavaliere inesistente; l’infuocato Rambaldo desideroso di
vendicare il padre morto in battaglia; il giovane Torrismondo, alle prese con
la ricerca dei Cavalieri del Sacro Graal e, lo scudiero di Agilulfo, Gurdulù.
Nella caratterizzazione di questo personaggio viene palesata la genialità di
Calvino: questi è infatti all’opposto del cavaliere inesistente. Gurdulù è un
pazzo con il quale è praticamente impossibile avere qualsiasi tipo di
comunicazione; lui, al contrario di Agilulfo, esiste, ma non sa di esserci. Il
tutto viene descritto alla maniera di Calvino, in un Medioevo fiabesco, pregno
di ironia e di grandi temi affrontati con la leggerezza di chi è capace di
raccontare davvero.
Questo
racconto vuole in realtà rappresentare una realtà sociale, cioè la conquista
dell’essere, oggi divenuta molto difficile visto tutti i modelli che ci vengono
proposti. Agilulfo che in verità era “vuoto” rappresenta la società di oggi, in
cui l’uomo è sempre più “vuoto”, più superficiale e attaccato alle cose frivole
come se fosse privo di qualcosa: ma non di qualcosa di piccolo ed
insignificante ma probabilmente quello che si va sempre più dimenticando sono i
valori fondamentali e basilari come lo può essere importante e basilare un
corpo per un cavaliere. L’autore quindi, ci parla dell’uomo moderno, della sua
solitudine e della totale impossibilità di autenticità. Temi come quello delle
maschere, dell’inconsistenza, delle nevrosi corrono per le pagine di questo
romanzo insieme a saraceni e paladini, a conventi e a giochi di parole;
parole mai difficili ma usate con la maestria di chi sa bene come farci
venire voglia di girare pagina fino alla fine. Citando lo scrittore
stesso: “la pagina ha il suo bene
solo quando la volti e c’è la vita dietro che spinge a scompigliare tutti i
fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre
le strade
Bello,mi è servito per una ricerca....
RispondiEliminaAnche a me..
Eliminaah okay
RispondiEliminabibo
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