In
questo sonetto viene messa in evidenza la contrapposizione tra la superiorità
della donna che, avanzando, fa tremare persino l’aria intorno a sé, e la
difficoltà, l’impotenza dell’uomo che vorrebbe descriverla, ma non ne è capace di
fronte a tanta bellezza e nobiltà.
Tale
incapacità viene evidenziata a livello stilistico: la prima quartina si
presenta in forma interrogativa ed
esprime lo stupore per la donna che conduce con sé Amore. Nei versi successivi
prevalgono espressioni di negazione per sottolineare ciò che l’uomo non è in
grado di fare di fronte alla donna. L’autore considera l’amore come la massima
opportunità che l’uomo ha di nobilitarsi, ma lo vede anche come un’esperienza
tragica perché,in quanto passione, la ragione è incapace di dominarlo. Di
grande rilevanza quindi il ruolo delle negazioni. I due ultimi periodi del
sonetto (corrispondenti alle due terzine) iniziano con l’avverbio “non”; in due
casi la negazione si riferisce al verbo “contare”: ne risulta una forte insistenza
sull’impossibilità, per la parola poetica, di descrivere adeguatamente
l’apparizione della donna. Con questa enunciazione di una poetica
dell’ineffabile, Cavalcanti si colloca agli antipodi di Guinizzelli
L’argomento
centrale, già guinizzelliano, è la sublimazione
e la lode della donna; la donna è una creatura superiore in grado di essere al
di sopra delle menti umane e di modificare nel poeta la visione delle altre
donne. Sono molti, sia sul piano tematico che su quello formale i riferimenti a
“Io voglio del ver la mia donna
laudare”. Sono presenti delle differenze, infatti, se è vero che la
donna appare come una figura superiore, più che apparire come un vero e
proprio angelo, la donna è qui presentata come una manifestazione sensibile
dell’“umiltà” e della “beltate”: manifestazione dunque di due “virtù”, di
altissimi ideali. L’apparizione della donna ha, a ben vedere, conseguenze
paradossali. Da un lato essa è la manifestazione sensibile di un mondo ideale e
perfetto, che può essere conosciuto solo intellettualmente. Dall’altro però
proprio la sua apparizione impedisce all’uomo di trascendere la percezione
sensibile, di elevarsi alla conoscenza intellettuale della “umiltà” e della
“beltate”. È questa appunto l’eterna sconfitta dell’uomo innamorato: egli
deve confessarsi incapace di conoscere queste “virtù” proprio nel momento in
cui, in qualche modo, le “vede”.Appare chiaro che l’uomo sia destinato a
questa sconfitta. In primo luogo, ce lo dimostra l’insistenza
sull’impossibilità di rappresentare adeguatamente con la parola l’apparizione
della donna: dapprima (vv. 3-4) essa toglie la parola agli uomini che la
vedono; poi (v. 6) il poeta proclama la sua personale impossibilità di
descrivere (“contare”) la sensazione prodotta dal suo sguardo; infine (v. 9)
l’impossibilità di “contare” non è più solo dell’io lirico, ma diviene
universale (“Non si poria contar”).
E’
un sonetto con rime incrociate, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC.
Sul piano lessicale, è da notare il frequente ricorso a sostantivi astratti (il latinismo “chiaritate”, “umiltà”, “ira”, il provenzalismo “piagenza”, e poi “virtute”, “beltate”, “salute”, “canoscenza”).
È presente un enjambement (vv. 3-4)
Sul piano lessicale, è da notare il frequente ricorso a sostantivi astratti (il latinismo “chiaritate”, “umiltà”, “ira”, il provenzalismo “piagenza”, e poi “virtute”, “beltate”, “salute”, “canoscenza”).
È presente un enjambement (vv. 3-4)
Livello
retorico: personificazione dell'amore, paragone della donna con tutte le altre.